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Fermata #136 - L'antidoto alle guerre del debito
In un mondo in cui denaro e credito sono la stessa cosa, bastano pochi voti e pochi click per finanziare conflitti armati. Bitcoin, al contrario, è considerata la moneta della pace: per quale motivo?
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Secondo un nuovo rapporto del Congressional Budget Office1, la proposta di legge statunitense che permetterà di finanziare Israele per il conflitto in corso nella Striscia di Gaza, aggiungerà $26,8 miliardi al deficit di bilancio degli Stati Uniti.
Dall’11 settembre 2001 solamente le guerre condotte da Washington hanno causato tra le 897.000 e le 929.000 morti dirette, tra cui soldati, civili e oppositori2. Considerando anche quelle indirette - indotte da malattie, distruzione di infrastrutture e altri fattori - l’ordine diventa quello dei milioni.
Nel mondo che gravita intorno a Bitcoin è ricorrente un detto: Make war unaffordable - Rendi la guerra inaccessibile. La frase si riferisce al fatto che in un ipotetico Bitcoin Standard sarebbe molto più complesso finanziare conflitti e guerre perpetue. In questa fermata proviamo a capire quanto di vero c’è nello slogan. Per farlo, però, serve prima rendersi conto di come oggi vengano finanziate le guerre.
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Prestiti color rosso sangue
La Guerra del Vietnam
1954: dopo la divisione del Vietnam in Nord e Sud gli Stati Uniti iniziarono a fornire assistenza militare ed economica al governo del Sud, guidato da Ngo Dinh Diem. Il debito pubblico statunitense ammontava a $280 miliardi.
Nel 1969 terminò l’escalation militare degli Stati Uniti e iniziò una graduale riduzione delle forze. Con gli Accordi di Parigi, quattro anni più tardi, finì il coinvolgimento diretto degli Usa. Al momento della caduta di Saigon, nel 1975, il debito pubblico degli Stati Uniti ammontava a oltre $500 miliardi.
L’intero conflitto in Vietnam costò a Washington $590 miliardi, di cui $290 miliardi raccolti tramite l’emissione di Treasuries. Circa il 50% della guerra venne finanziato da soldi che il governo non aveva. Una stampa che ebbe effetto, com’è ovvio, anche sul costo della vita degli americani: nel 1974 l’inflazione raggiunse un picco del 12,1%.
L’aumento della spesa pubblica, l’accumulo di debito e il deterioramento della bilancia dei pagamenti causati dall’intervento militare in Vietnam condussero a un crollo della fiducia estera nei confronti governo a stelle e strisce. Vari Paesi, Francia e Inghilterra in particolare, iniziarono a convertire in massa i loro dollari in oro, mettendo sotto pressione le riserve auree degli Stati Uniti.
Fu così che si arrivò al 15 agosto 1971, giorno in cui Richard Nixon annunciò la sospensione temporanea3 della convertibilità del dollaro in oro. La mossa, nota come Nixon Shock, eliminò per sempre il sottostante aureo dal dollaro, dando vita alla moneta fiat.
Fu la guerra del Vietnam a trasformare il denaro in credito.
La Guerra del Golfo
Quando il 2 agosto 1990 l’Iraq guidato da Saddam Hussein invase il Kuwait, con il sospetto che quest’ultimo stesse producendo più petrolio del previsto per abbassarne i prezzi, gli Stati Uniti non stettero a guardare. Washington lanciò l'operazione Desert Shield appena una settimana dopo per difendere l'Arabia Saudita da un potenziale attacco iracheno.
Con il mancato ritiro di Saddam, nel gennaio del ‘91 andò in scena l'intensa campagna di bombardamenti aerei contro l'Iraq, mirata a distruggere le infrastrutture militari e di comando.
Dall’agosto del 1990 al febbraio del 1991, il debito pubblico statunitense aumentò da $3.200 miliardi a $3.450 miliardi. Una crescita di $250 miliardi in soli sei mesi. Il conflitto costò agli Usa $61,1 miliardi: di questi, $24,4 miliardi vennero raccolti tramite l’emissione di debito4.
La Guerra in Iraq
Nell’ottobre del 2002, quando il Congresso degli Stati Uniti autorizzò l'uso della forza militare contro l'Iraq, il debito pubblico ammontava a poco più di $6.000 miliardi. L’invasione - che partì nel 2003 e terminò definitivamente con il ritiro delle truppe nel 2011 - ebbe costi astronomici: $1.922 miliardi, di cui $1.590 raccolti con l’emissione di Treasuries. Oltre tre quarti del conflitto iracheno venne finanziato a debito. Alla fine della guerra il debito statunitense era quasi triplicato, complice la crisi del 2008: $15.000 miliardi.
Se da un lato non è possibile sapere con certezza chi comprò i titoli di Stato americani durante le guerre - alcuni documenti sono secretati - è però legittimo farsene un’idea guardando com’è divisa la distribuzione dei Treasuries Usa. In poche parole, chi detiene il debito statunitense?
Governi e banche centrali straniere (37%)
Fondi fiduciari di previdenza sociale (22%)
Federal Reserve (20%)
Fondi comuni e di investimento (11%)
Banche commerciali nazionali (6%)
Investitori individuali (4%)
Secondo il Dipartimento del Tesoro5, i governi e le banche centrali straniere, insieme alla Federal Reserve (la banca centrale americana) detengono il 57% dell’intero debito americano, che ammonta oggi a quasi $34.000 miliardi. I soldi prestati agli Stati Uniti dagli investitori privati tramite l’acquisto di titoli di Stato non sarebbero mai bastati per finanziare i conflitti armati.
Ma in un mondo in cui il credito stesso è denaro, le istituzioni autorizzate a generarlo sopperiscono alla mancanza. La Federal Reserve, tramite la magia del quantitative easing, può entrare in gioco e generare un credito dal nulla da assegnare al governo, in modo che quest’ultimo possa utilizzarlo per finanziare le spese militari. Il costo è la svalutazione del denaro stesso, dunque l’aumento del costo della vita per tutti coloro che detengono dollari.
La moneta fiat paga i conflitti tramite l’esproprio inconsapevole.
La scarsità implica responsabilità
Ormai lo sapete tutti benissimo. Non esisteranno mai più di 21 milioni di bitcoin. Non è possibile stampare nuovi bitcoin. In uno scenario in cui lo standard monetario fosse quello scoperto da Satoshi Nakamoto, difficilmente esisterebbero istituzioni come le banche centrali. Ma anche supponendo che esistessero, non potrebbero comunque generare arbitrariamente unità monetarie con una semplice riunione del comitato direttivo.
Questo significa che le guerre cesserebbero di esistere? Niente affatto.
Ma per pagare le spese di un conflitto armato, un governo sarebbe costretto a prelevare tutto il denaro necessario dai cittadini tramite l’imposizione fiscale. Aumentare le tasse avrebbe un impatto decisamente più diretto sulla percezione dell’elettorato rispetto al subdolo effetto dell’inflazione - le cui cause vengono puntualmente individuate in tutto tranne che nell’unica vera ragione, l’eccessiva emissione di credito - e con ogni probabilità farebbe diminuire la popolarità del governo.
Certo, un governo potrebbe anche chiedere dei prestiti, ma sarebbe costretto a restituirli con gli interessi: pena, il default.
Quando le risorse sono scarse e non se ne possono creare arbitrariamente di nuove, si è costretti a fare i conti con ciò che si ha. In poche parole: un Bitcoin Standard incentiverebbe comportamenti più responsabili.
L’oro centralizza
Non basta la scarsità per disincentivare le guerre. Per secoli l’oro è stato lo standard monetario globale e, nonostante questo, i conflitti sono sempre esistiti.
Ci sono delle ragioni precise per cui oggi non commerciamo più in oro. Non è semplice capire come trasportare l’oro - portandolo con sé c’è il forte rischio di subirne il furto tramite attacchi fisici - come custodirlo - tenendolo in casa sarebbe facile preda dei ladri - e come dividerlo - non si può utilizzare una piccola moneta d’oro per comprare una pizza, è uno scambio piuttosto impari. Se quest’ultimo aspetto è stato risolto tramite l’utilizzo di metalli meno preziosi, come argento e rame, è proprio per efficientare i primi due che sono nate le banche.
Gli istituti di credito hanno assunto la responsabilità di custodire l’oro per i propri clienti, sgravandoli dal peso di dover trovare un nascondiglio sicuro, e hanno facilitato la trasmissione del valore creando le note di credito: biglietti che certificavano il valore in oro detenuto e che potevano essere facilmente trasportabili. Le banconote che utilizziamo oggi altro non sono che l’evoluzione dei certificati di credito.
Questo per dire che le proprietà intrinseche dell’oro hanno portato alla sua centralizzazione. Le difficoltà legate a trasportabilità, custodia e divisione hanno spinto sempre più persone a consegnare il proprio oro nelle mani delle banche, in cambio di pezzi di carta privi di valore che nel 1971 sono diventati il denaro che conosciamo oggi. E’ stata la macchina degli incentivi a realizzare il percorso storico che va dall’introduzione della prima nota di credito all’abolizione del Gold Exchange Standard.
Le banche, il cui business principale è quello di emettere credito, hanno presto capito che difficilmente tutti i loro clienti avrebbero chiesto indietro il loro oro contemporaneamente. Per questo hanno iniziato a emettere prestiti il cui valore complessivo era superiore a quello dell’oro detenuto, facendo nascere la riserva frazionaria: esattamente quel meccanismo che ha portato gli Stati Uniti a emettere una quantità di dollari superiore rispetto al valore corrispondente in oro detenuto e, conseguentemente, alla decisione di Nixon del 1971.
L’oro ha fallito per via delle sue proprietà che ne hanno reso inevitabile la centralizzazione. Da qui la riserva frazionaria e la nascita del fiat standard.
Bitcoin distribuisce
Bitcoin, d’altra parte, migliora ognuna delle caratteristiche menzionate. La custodia e la trasportabilità si riducono alla decisione di come gestire la seed phrase - 12 o 24 parole - non lingotti d’oro. In quanto alla divisibilità, sapete ormai tutti bene che 1 bitcoin è costituito da 100.000.000 di satoshi, non servono ulteriori artifizi per acquistare beni o servizi di basso valore.
E’ celebre l’articolo pubblicato il 4 dicembre 1921 sul New York Tribune, in cui si delineava la visione di Henry Ford di sostituire l'oro con una moneta energetica che, secondo lui, avrebbe potuto spezzare la presa delle élite bancarie sulla ricchezza globale e porre fine alle guerre. Ford intendeva farlo costruendo "la più grande centrale elettrica del mondo" e creando un nuovo sistema monetario basato su "unità di energia".
Quella moneta, espressione indiretta della generazione di energia elettrica tramite il mining, è nata 88 anni dopo, il 3 gennaio del 2009.
Bitcoin è il primo strumento nella storia dell’umanità che rende alla portata di tutti la gestione individuale della proprietà privata, in un contesto in cui tale proprietà non può essere arbitrariamente inflazionata.
Bitcoin è una concreta speranza di un futuro meno bellico e più collaborativo. In tre parole: Make war unaffordable.
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