Fermata #148 - ETF: E' Tutto Finito?

L'approvazione degli ETF spot su Bitcoin segna uno spartiacque atteso da anni. L'arrivo di Wall Street genera sia entusiasmo che disfattismo: cosa c'è da aspettarsi?

Sono passati più di 10 anni da quando la SEC - Securities and Exchange Commission, il regolatore dei mercati finanziari Usa - ha ricevuto la prima richiesta di approvazione di un ETF spot1 su Bitcoin. Era il luglio del 2013 e la domanda arrivava dai gemelli Winklevoss.

Da allora le peripezie del primo prodotto finanziario in terra statunitense che offrisse un’esposizione diretta al prezzo di bitcoin sono state innumerevoli. Dalla vicenda Grayscale, che più volte ha provato a convertire il proprio trust (GBTC) in un ETF, arrivando persino a battere in tribunale la SEC, fino all’affondo di BlackRock (IBIT), l’idea di poter comprare prodotti legati al prezzo spot di bitcoin a Wall Street si è via via sempre più intensificata.

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Fino a mercoledì 10 gennaio 2024, giorno in cui la SEC ha dato ufficialmente il via libera a 11 ETF spot su Bitcoin. Come riportato da Atlas21, che ha analizzato le diverse caratteristiche di tutti i prodotti, tra i gestori figurano proprio BlackRock e Fidelity, due tra i più grandi asset manager al mondo.

Cosa succederà ora? Qualcuno teme che lo zampino della grande finanza possa compromettere Bitcoin, altri ne vedono i lati positivi, in particolare dal punto di vista dell’attrattività dell’asset. Ciò che è certo è che non si smetterà di parlare di adozione istituzionale.

Number Go Up vs Cypherpunk

La grande attesa degli investitori si è palesata nel primo giorno di contrattazioni. Giovedì 11 gennaio l’esordio degli 11 ETF ha fatto segnare un volume di scambi superiore ai $4,3 miliardi: come evidenziato dall’analista di Bloomberg Eric Balchunas, si è trattato del “più grande successo nella storia degli esordi di ETF”.

E’ innegabile che grandi istituzioni, fondi pensione, d’investimento, di risparmio e multinazionali fossero in attesa di un prodotto che gli permettesse di ottenere un’esposizione fedele al prezzo di bitcoin in maniera regolamentata e intermediata. Gli ETF spalancano le porte ai grandi capitali, generando una domanda aggiuntiva per Bitcoin mai vista finora.

Se da un lato questo entusiasma quella parte della community che esalta il fattore NgU (Number go Up) di Bitcoin2, sottolineando come la nuova domanda farà salire significativamente il prezzo dell’asset, dall’altro una quantità non trascurabile di appassionati è preoccupata dalla presenza ingombrante della finanza.

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Possesso non significa controllo

L’ordine di grandezza è quello delle centinaia di miliardi, l’unità di misura è quella del dollaro. Le stime del denaro che affluirà in Bitcoin tramite gli ETF variano a seconda di chi le fa. La banca Standard Chartered, per esempio, ha ipotizzato una domanda di $100 miliardi solo nel primo anno.

Ciò non significa, come hanno ipotizzato alcuni giornali, che Bitcoin abbia abbandonato il suo lato cypherpunk e cripto-anarchico, per vendersi a uomini in giacca e cravatta.

Il consenso di Bitcoin - inteso come l’insieme di meccanismi che regolano il protocollo - è unico al mondo per diversi motivi: tra questi c’è la sua drastica differenza con i meccanismi decisionali tradizionali.

Un’azienda quotata in Borsa è controllata dagli azionisti di maggioranza; un governo approva spesso leggi favorevoli ai lobbisti più generosi. Lo stesso succede nell’ambito delle altre criptovalute, in particolare quelle regolate dalla Proof-of-Stake: chi ha più soldi comanda.

Come più volte spiegato in questa newsletter, a decidere le regole del gioco in Bitcoin sono i nodi del network, non la ricchezza a loro associata. MicroStrategy, che detiene attualmente quasi 190.000 bitcoin, qualora gestisse un full-node avrebbe lo stesso potere decisionale sul network di un qualunque altro utente con un nodo in casa.

In parole povere, BlackRock non potrà cambiare le regole di Bitcoin anche se dovesse arrivare a gestirne centinaia di migliaia per i propri clienti3.

E se BlackRock decidesse di investire in marketing per convincere tutti ad apportare modifiche al consenso di Bitcoin che distruggerebbero il network?” Anche ignorando il fatto che si tratterebbe di un comportamento del tutto contrario agli interessi di un fondo che guadagna dalla buona salute di Bitcoin tramite gli investimenti nel proprio ETF, lo scenario resta inverosimile. Persino l’immensa potenza di fuoco economica di certi colossi - magari direzionata dalla minaccia governativa - difficilmente potrebbe portare a campagne di comunicazione capaci di unificare il consenso di tutti coloro che gestiscono un nodo in giro per il mondo. Non basta il 50% + 1 dei nodi per apportare una modifica al protocollo perché Bitcoin, fortunatamente, non è una democrazia. Da questo punto di vista, Bitcoin è immune.

Per chi vi scrive la corsa alla promozione degli ETF scatenerà invece una campagna mediatica mirata alla valorizzazione di Bitcoin. Già 5 emittenti hanno lanciato i loro primi spot, talvolta con messaggi che non strizzano affatto l’occhio alle autorità: nella pubblicità di VanEck, per esempio, la voce fuori campo scandisce chiaramente: “Bitcoin può aiutarti a proteggerti dalla svalutazione del tuo denaro da parte del governo”.

Certo, comprare un ETF su bitcoin non significa comprare bitcoin e mai, su Bitcoin Train, leggerete tale consiglio. Le caratteristiche di privacy e resistenza alla censura sono garantite solo dalla conservazione autonoma delle proprie chiavi private e dalla gestione sapiente dei propri bitcoin.

Ma Bitcoin è una tecnologia adversarial. Bitcoin serve a chi ne ha bisogno. Sarebbe ingenuo, da appassionati, pretendere che il mondo intero usi Bitcoin allo stesso modo. Ci sarà sempre una fetta di popolazione, anche consistente, che si fiderà di intermediari e autorità fino a quando questi ultimi non li tradiranno con la censura. E’ a quel punto - e solo a quel punto - che quella fetta di popolazione capirà il vero valore di Bitcoin, perché quest’ultimo sarà ancora lì a offrire loro un’alternativa per slegarsi dal sistema finanziario tradizionale.

Se c’è una cosa che gli eventi degli ultimi giorni hanno dimostrato è che Bitcoin non ha bisogno di Wall Street, Wall Street ha bisogno di Bitcoin. Non è un caso che società come Bitwise e VanEck abbiano deciso di donare rispettivamente il 10% e il 5% dei profitti generati dai loro ETF allo sviluppo open-source di Bitcoin.

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