Fermata #155 - Il depistaggio di Stato

Joe Biden si lamenta della shrinkflation in un video pubblicato sui social. L'accusa del presidente è alle aziende produttrici, ma la verità andrebbe indagata in un'altra direzione

Domenica 11 febbraio 2024, ore 15:30: a Las Vegas si gioca la 58° edizione del Super Bowl in cui si affrontano i Kansas City Chiefs e i San Francisco 49ers. La partita finirà con la vittoria dei Chiefs 25-22 e le polemiche sulle inquadrature a Taylor Swift durante le pause di gioco, per alcuni eccessive.

Ma non temete, Bitcoin Train non è diventata una newsletter sul football americano. Il motivo per cui cito l’evento è che sette ore prima del calcio d’inizio l’account Twitter ufficiale del Presidente degli Stati Uniti (@Potus), postava un video rivolgendosi a tutti gli americani che avrebbero guardato la partita.

Nel video Joe Biden, seduto su quella che sembra una poltroncina di una sala cinematografica e con qualche pacchetto di snack al proprio fianco, si rivolge direttamente in camera:

Quando avete comprato gli snack per guardare la partita, avrete notato una cosa: le bottiglie delle bevande sportive sono più piccole, il sacchetto di patatine ha meno patatine, ma lo stesso prezzo. Essendo un amante del gelato, ciò che mi fa più arrabbiare è che le confezioni di gelato si siano ridotte nelle dimensioni, ma non nel prezzo. Ne ho abbastanza di quella che chiamano "shrinkflation". È una fregatura. Alcune aziende stanno cercando di rimpicciolire i prodotti poco alla volta, sperando che non ve ne accorgiate. Non fatemi arrabbiare. Il pubblico americano è stanco di essere preso per i fondelli. Chiedo alle aziende di porre fine a questa situazione. Facciamo in modo che le aziende facciano la cosa giusta.

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Shrinkflation

La shrinkflation descrive la tendenza delle aziende di ridurre la dimensione o la quantità di un prodotto mantenendo invariato il suo prezzo di vendita.

Poco prima del Super Bowl, per essere sicuro di ottenere la maggior visibilità possibile, Biden puntava il dito proprio contro le aziende. Ma è davvero colpa loro? Qual è l’origine della shrinkflation?

La radice dell’inflazione

Per quanto sia affascinante giocare sui termini per confondere la percezione del pubblico, la shrinkflation non è altro che una manifestazione diretta dell’inflazione. Anzi, è proprio inflazione che si mostra in modo diverso: anziché un aumento del prezzo, una riduzione del prodotto. La domanda più corretta da farsi è quindi: qual è l’origine dell’inflazione?

A costo di apparire autoreferenziale, citerò la fermata #57 per una doverosa precisazione:

Inflazione deriva dal latino inflatio, a sua volta derivato di inflare, ovvero gonfiare. Pensiamo al caso più banale, quello in cui si gonfia un palloncino. L’atto di inflare, gonfiare, è quello in cui l’aria viene soffiata dalla bocca all’interno del palloncino: la causa. L’immediata conseguenza è l’espansione del volume del palloncino che sta incamerando aria: l’effetto. 

Immettere nuova aria nel palloncino è l’azione che porta all’espansione di quest’ultimo. Lo stesso ragionamento vale per la moneta: l’atto stesso della stampa di denaro è inflazione e la sua conseguenza è l’aumento dei prezzi.

Questo solo per sottolineare, ancora una volta, che parlare di “inflazione” per indicare l’aumento dei prezzi è a tutti gli effetti un errore. Un errore che fanno tutti, economisti e professori compresi.

Ma proviamo a comportarci come un vero Esperto: ignoriamo la realtà e consideriamo l’inflazione come l’aumento dei prezzi. La domanda resta: da dove ha origine?

Un’idea può darla la sequenza temporale degli eventi.

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Dal taglio dei tassi all’aumento dei prezzi

A inizio 2020 la Federal Reserve taglia drasticamente i tassi d’interesse per incentivare l’espansione del credito, in risposta allo scoppio della pandemia. Passa da un interesse di poco inferiore al 2% a uno leggermente superiore allo zero assoluto: il tutto nel giro di un paio di mesi. Da quel momento i tassi restano invariati per due anni.

Contestualmente, per approfittare del credito a basso costo, il Tesoro americano emette una quantità di debito - e dunque nuovo denaro, in un sistema in cui la moneta stessa è credito - con pochi precedenti nella storia del dollaro. Con l’emissione dei titoli di Stato Usa, i Treasuries, il debito pubblico americano passa da meno di $24mila miliardi a inizio 2020 agli oltre $30mila miliardi di inizio 2022.

Un totale di $6mila miliardi di nuovo debito, quindi nuovo denaro, in due anni. Si pensi che a gennaio 2003 $6mila miliardi era l’ammontare dell’intero debito pubblico americano. Non è un caso che all’epoca il rapporto debito/Pil statunitense fosse del 56.25%, mentre oggi è del 124%.

Quando una banca centrale vuole stimolare l’economia, però, non si limita a sfruttare la leva dei tassi. Ricorre sempre più spesso al cosiddetto quantitative easing: l'acquisto di titoli di Stato e altri strumenti finanziari con denaro creato dal nulla al fine di iniettare liquidità nel sistema bancario. Per capirne le dimensioni una metrica utile da monitorare è quella degli asset detenuti dalle banche centrali che lo praticano.

Tra inizio 2020 e fine 2022 gli asset in pancia alla Federal Reserve passano da $4mila miliardi a oltre $8mila miliardi.

Il quadro risulterebbe già sufficientemente tragico così ma, come i lettori di questa newsletter sanno già molto bene, l’attuale sistema finanziario si basa sulla riserva frazionaria. Questo significa che il massiccio intervento combinato di Federal Reserve e governo statunitense si ripercuote sull’economia con un effetto moltiplicatore.

Qual è, dunque, l’effetto delle decisioni appena descritte sulla quantità di dollari circolanti nel mercato? La risposta la offre l’indice M1 che prende in considerazione banconote e depositi bancari. Quest’ultimo segnala meno di $5mila miliardi a inizio 2020 e arriva a superare i $20mila miliardi nel 2022.

Nel giro di due anni i dollari in circolazione sono più che quadruplicati.

Sarà forse un caso che tutti i dati citati mostrano una netta impennata a partire dal 2020? E sarà forse un caso che anche il dato relativo all’aumento dei prezzi negli Stati Uniti abbia iniziato la sua scalata al 10% proprio a inizio 2020?

La risposta sta nella logica.

  1. Aumento della domanda: con più banconote in mano a tutti, il valore di ogni singola banconota diminuisce e incentiva individui, famiglie e imprese a spendere e/o investire;

  2. Squilibrio tra domanda e offerta: l’economia non cresce omogeneamente. La produttività, dunque l’offerta di beni e servizi, è la stessa, mentre la domanda aumenta;

  3. Inflazione: se le imprese non riescono a produrre abbastanza beni per soddisfare la domanda, i prezzi iniziano a salire. Alcune aziende anziché aumentare il prezzo decidono di mantenerlo stabile riducendo però l’entità del bene o del servizio offerto.

Quindi no, caro Joe Biden, la responsabilità della shrinkflation non è delle aziende, di chi produce bevande energetiche, patatine e gelati.

La colpa è vostra: tua e del tuo amico Jerome Powell.

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