Fermata #16 - Il green che spaventa

Stampa e istituzioni attaccano Bitcoin per il suo consumo energetico, caratteristica che può invece guidare la transizione verso le rinnovabili. La realtà è che Bitcoin fa paura.

Immaginate di vivere in un sistema economico controllato da una moneta priva di un valore intrinseco che guadagna credibilità incentivando la produzione di petrolio. Immaginate poi che chi sostiene tale sistema metta periodicamente in guardia i consumatori da Bitcoin perché costituirebbe un serio pericolo per l’ambiente.

Non serve molta immaginazione, è la realtà. Una realtà in cui la valuta di riferimento mondiale, il dollaro Usa, è carta stampata il cui unico valore è garantito dalla fiducia nel governo americano, la cui potenza economica, a sua volta, è alimentata dal matrimonio con i produttori di petrolio sauditi.

Il petrodollaro

Noi compriamo il vostro petrolio in dollari e voi reinvestite gli utili per finanziare il governo americano.

E’ questo, in estrema sintesi, il sistema del petrodollaro: ciò che per decenni ha contribuito in gran forza alla credibilità delle casse statunitensi e, di conseguenza, al potere d’acquisto del dollaro Usa.

Gli accordi che regolano tale rapporto sono stati siglati per la prima volta l’8 giugno 1974 a Washington tra Henry Kissinger (ex segretario di Stato Usa) e il principe ereditario dell’Arabia Saudita Fahd. Bloomberg li descrive così:

Gli Stati Uniti acquistano petrolio dall'Arabia Saudita e forniscono al regno aiuti e attrezzature militari. In cambio, i sauditi reinvestono miliardi delle loro entrate in petrodollari nei Treasury (titoli di Stato americani, ndr) e finanziano la spesa americana.

Come spiega il Cso della Human Rights Foundation Alex Gladstein nel suo articolo Undercovering the hidden cost of the petrodollar, “documenti declassificati hanno rivelato che il governo degli Stati Uniti ha consentito ai sauditi di acquistare Treasury al di fuori delle aste regolari e a tassi preferenziali. All'inizio del 1975 acquistarono 2,5 miliardi di dollari di titoli del tesoro, dando inizio a una follia che si sarebbe poi tradotta in centinaia di miliardi di petrodollari investiti nel debito statunitense”. Un sistema che consentì “una crescita costante delle industrie petrolifere e dei combustibili fossili a scapito dell'energia nucleare e dell'indipendenza energetica regionale”.

L’attacco a Bitcoin

Da tempi non sospetti però istituzioni e grandi organi di stampa sembrano essere più concentrati a criticare il consumo energetico di Bitcoin rispetto alle implicazioni ambientali del dollaro. Già nel 2017, ad esempio, il World Economic Forum pubblicava uno studio che prevedeva come nel 2020 Bitcoin avrebbe consumato più energia dell’intero mondo di allora.

La stima, rivelatasi oltre i limiti del comico, non è certo un caso isolato. Negli ultimi anni il mining si è rivelato uno dei più comuni fronti d’attacco contro Bitcoin per via delle emissioni di CO2 che comporta, come già documentato nella fermata #1: Bitcoin vs Greenwashing. Anche recentemente sono comparsi diversi articoli relativi al “problema” del consumo energetico di Bitcoin. Alcuni esempi:

Pochi giorni fa, poi, l’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati1 si è spinta oltre: tramite il suo vice-presidente Erik Thedéen è arrivata a dire che andrebbe bandita la Proof-of-Work2 a causa della "quota crescente di energia rinnovabile dedicata al mining". Insomma, anche se Bitcoin utilizza fonti green, non va bene.

Non saranno tutti stupidi, perciò un simile fronte comune contro la creazione di Satoshi Nakamoto fa sorgere una domanda: Bitcoin è davvero un problema per l’ambiente?

Spoiler: no, è un problema per il potere.

Bitcoin è il futuro dell’energia pulita (ma spaventa)

L’incentivo economico alla transizione green

E’ il caso di mettere un punto fermo: l’energia non è un bene scarso, è un bene potenzialmente infinito. L’energia solare che colpisce la Terra in un’ora e mezza è sufficiente per soddisfare il fabbisogno dell’intera umanità per circa un anno3.

Dunque il consumo energetico non è un problema. L’evoluzione della specie umana è sempre andata di pari passo con l’aumento dell’energia utilizzata per sostenerla e non vi è alcun rischio di finirla.

La sfida di fronte alla quale ci troviamo oggi non ha come obiettivo quello di ridurre l’utilizzo di energia ma quello di ridurre le emissioni di gas serra.

Di per sé la caratteristica energivora di Bitcoin non è un problema, è anzi un punto di forza che rende la tecnologia sempre più sicura man mano che si espande: maggiore è la potenza di calcolo utilizzata, più alta è la resistenza del network.

La vera rivoluzione che introduce il mining di Bitcoin è però un’altra: a differenza del sistema in cui viviamo - la cui transizione energetica implica una profonda ristrutturazione dell’economia con costi altissimi - il mining rappresenta un incentivo economico allo sviluppo di nuove tecnologie che sfruttino al meglio l’energia pulita.

A differenza delle fonti fossili, che sono limitate e dunque hanno un costo elevato, le fonti rinnovabili sono potenzialmente infinite e di conseguenza l’energia che se ne ricava ha un prezzo inferiore4. E l’elettricità, utile per alimentare le macchine Asic adibite al mining, per i miner rappresenta un costo, non un ricavo. Minore è il prezzo della bolletta, maggiore è il margine.

Soprattutto le più grandi mining farm - che oggi hanno ampia disponibilità di denaro - hanno quindi tutto l’interesse a investire in ricerca e sviluppo per studiare nuove tecnologie che forniscano elettricità tramite fonti energetiche rinnovabili e quindi meno costose.

La tendenza, peraltro, è già quella di una conversione globale dalle fonti fossili alle sostenibili. Dal Global Mining Data Review del quarto trimestre 2021 è emerso che il 58,5% dell’energia utilizzata nel mining deriva da fonti green: era il 56% nel secondo trimestre ed era il 39% nel 2020.

L’efficientamento dello stoccaggio

Per quanto possa infastidire i regolatori, i vantaggi del mining non finiscono qui.

Non volendomi improvvisare ingegnere energetico, mi affiderò alle parole disponibili sul sito di Enel per una cosa, in realtà, abbastanza risaputa:

Uno dei grandi limiti dell'elettricità è la difficoltà di accumularla. A differenza di altre risorse o prodotti, non è possibile produrre elettricità e conservarla, ma in ogni istante deve esserci equilibrio tra consumo e produzione di energia. 

Le energie rinnovabili sono soggette a variazioni di disponibilità. Il vento e il sole sono per loro natura imprevedibili e i costi di stoccaggio per garantire la continuità delle forniture elettriche sono altissimi. In verità, ad oggi la larga maggioranza dell’elettricità prodotta dall’energia solare, idroelettrica, eolica e geotermica non è conservata affatto: dove le tecnologie di conservazione non arrivano, entra in gioco Bitcoin. Il surplus, ovvero l’energia in eccesso che non è possibile detenere o trasferire immediatamente, può essere veicolato verso le macchine Asic per produrre bitcoin. Energia che altrimenti andrebbe dispersa può essere trasformata in scarsità assoluta per poi essere spesa in forma di valore digitale in tutto il mondo, in un click. Grazie al mining, i surplus energetici diventano denaro.

L’hanno capito in Trentino, dove il piccolo comune di Borgo d’Anaunia ha stanziato 132 mila euro per acquistare macchine Asic da far lavorare all’interno della centrale idroelettrica comunale Alta Novella. Energia pulita trasformata in ricchezza digitale.

Un’opposizione guidata dalla paura

Se il mining è già oggi un modo per efficientare la produzione di energia elettrica pulita e rappresenta un incentivo allo sviluppo di nuove tecnologie green, che motivo c’è di attaccarlo con dichiarazioni e articoli che fanno leva sulla superficialità e sulla disinformazione?

Non è una questione d’ignoranza. Si tratta di un attacco mirato e consapevole perché il potere è spaventato da Bitcoin: una sua diffusione capillare su scala globale renderebbe marginale l’utilizzo delle valute di Stato, togliendo fondi ai governi che, faticando a finanziarsi sui mercati, per non andare in default sarebbero costretti a emettere nuova moneta fino all’iperinflazione, che li farebbe crollare ugualmente. Togliere il monopolio della moneta allo Stato significa ridurre drasticamente il suo potere politico e, di conseguenza, anche la capacità di influenzare l’informazione generalista, che si traduce in un minor controllo sugli individui. E Bitcoin fa esattamente questo: libera gli individui.

Non credo che avremo mai più una moneta solida prima di eliminare il monopolio del governo. Non possiamo eliminarlo violentemente. Tutto ciò che possiamo fare è introdurre qualcosa che non possano fermare.

 Friedrich von Hayek

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