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Fermata #171 - Gli USA dichiarano guerra a Bitcoin

Dopo Samourai prosegue l'attacco degli Stati Uniti a Bitcoin. Colpiti Phoenix Wallet, Roger Ver, Jack Dorsey e l'implementazione di CoinJoin di Wasabi Wallet.

Quando la settimana scorsa scrivevo la fermata #170 sull’arresto dei due co-fondatori di Samourai Wallet, non avrei immaginato di aver dovuto scrivere un seguito.

L’attualità lo impone, perché ciò a cui ci troviamo davanti è indubbiamente il più concreto attacco istituzionale che Bitcoin si sia mai trovato a dover affrontare dalla sua nascita.

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Esperti e appassionati si aspettavano un momento simile da tempo: la crescente diffusione di Bitcoin non avrebbe potuto che minacciare la credibilità del monopolio monetario statunitense e, di conseguenza, sarebbe stato ingenuo pensare che i tentativi di attaccare i punti di accesso al protocollo scoperto da Satoshi Nakamoto sarebbero arrivati unicamente da dittature e autocrazie, come accaduto con i molteplici ban cinesi: prima o poi anche gli Stati Uniti sarebbero scesi in campo.

I tempi sembrano essere maturati. Dopo l’arresto dei due co-fondatori del wallet non-custodial Samourai, sono partite le indagini contro l’azienda Block del co-fondatore di Twitter Jack Dorsey, è stato arrestato in Spagna con richiesta di estradizione l’ex Bitcoin Jesus Roger Ver, le aziende Acinq e zkSNACKs hanno abbandonato il mercato USA con i rispettivi servizi Phoenix Wallet e Wasabi Wallet, e la seconda ha persino annunciato che terminerà l’attività di coordinamento dei CoinJoin interni a Wasabi.

In una settimana i due servizi di CoinJoin più user-friendly sul mercato si sono polverizzati per l’intervento del governo degli Stati Uniti, diretto nel caso di Samourai con l’arresto dei due co-fondatori e indiretto nel caso di Wasabi, con l’azienda che si è tirata indietro per evitare la stessa sorte dei primi.

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Dal blocco di Samourai alla resa di Wasabi

Come affrontato nella precedente fermata, una delle due accuse rivolte ai co-fondatori di Samourai da parte del procuratore federale del distretto Sud di New York è quella di “gestione di un'attività di trasmissione di denaro non autorizzata”. Nell’articolo avevo evidenziato l’incongruenza dell’interpretazione rispetto a quella presente nelle linee guida del FinCEN, secondo cui un’entità che fornisce accesso a un network - come può essere un ISP o un semplice wallet non-custodial - non è da considerarsi un trasmettitore di denaro.

Ma che tirasse una brutta aria si è iniziato a capire nella tarda serata italiana del 26 aprile, quando lo stesso procuratore federale del distretto Sud di New York ha depositato l’argomentazione dell’accusa nell’ambito del caso Tornado Cash, un servizio non-custodial dedicato a migliorare la privacy di Ether (il token di Ethereum), il cui fondatore deve fronteggiare un’accusa del tutto analoga a quella di Samourai: operazione di un servizio di trasmissione di denaro senza licenza.

Per il Dipartimento di Giustizia Usa le linee guida del FinCEN non hanno valore.

La definizione di "trasmissione di denaro" non richiede che il trasmettitore di denaro abbia il "controllo" dei fondi trasferiti. […] Ad esempio, un cavo USB trasferisce dati da un dispositivo a un altro e una padella trasferisce il calore da un fornello al contenuto della padella, anche se nessuna delle due situazioni comporta l'esercizio del "controllo" su ciò che viene trasferito.

Se queste poche righe vi confondono, non siete soli. L’argomentazione non ha alcun senso: qualora un tale principio dovesse essere applicato, anche i produttori di portafogli in pelle dovrebbero richiedere la licenza di trasmettitore di denaro perché i loro prodotti non esercitano il controllo sui fondi ma trasportano contanti e carte.

Nella diretta YouTube di lunedì 29 aprile con Massimo Musumeci ho discusso delle vaste implicazioni che un’interpretazione simile avrebbe qualora la linea dovesse vincere in tribunale.

La minaccia dell’FBI

E’ indicativo, poi, il tempismo dell’annuncio pubblico dell’FBI. Il 25 aprile la massima autorità investigativa americana ha pubblicato un comunicato in cui invitava caldamente i cittadini Usa a non servirsi di piattaforme che offrono servizi legati alle criptovalute e non richiedono le procedure di identificazione tipiche del KYC, oltre a non avere la licenza da Money Service Business. La natura dell’intimidazione è subdola perché il documento non dichiara apertamente che anche i servizi che non controllano i fondi degli utenti dovrebbero avere una licenza - perché nessuna legge lo impone e quindi tali business sono perfettamente legittimi - ma implica la minaccia all’uso dei soli servizi con licenza e, dunque, quelli custodial controllabili dal regolatore.

Le persone che utilizzano servizi di trasferimento di denaro in criptovaluta privi di licenza possono subire interruzioni e problemi durante le azioni di contrasto.

L’arresto di Roger Ver

L’offensiva americana non finisce qui. Lo scorso fine settimana il Dipartimento di Giustizia Usa ha reso noto l’arresto di Roger Ver, uno dei leader della fazione dei big blocker durante la Blocksize War - raccontata nella fermata #23 - e principale sostenitore del fork Bitcoin Cash.

Prima di diventare un supporter di truffe e altcoin prive di valore, nei primissimi anni di Bitcoin Ver era stato uno dei più grandi sostenitori della scoperta di Satoshi Nakamoto: per questo era stato soprannominato Bitcoin Jesus.

L'accusa sostiene che nel novembre 2017 - alla fine della Blocksize War - Ver avrebbe venduto decine di migliaia di bitcoin per un controvalore di $240 milioni. Ver aveva rinunciato alla cittadinanza statunitense nel 2014, poco dopo aver ottenuto quella di St. Kitts and Nevis, e per l’accusa Ver avrebbe nascosto al suo commercialista di aver ricevuto e venduto i bitcoin di due società di sua proprietà nel 2017. Di fatto, a 10 anni di distanza dalla rinuncia alla cittadinanza Usa, il governo ha fatto arrestare Roger Ver in Spagna per un presunto mancato incasso del fisco di $48 milioni.

Il Dipartimento di Giustizia ha anche comunicato che chiederà la sua estradizione, annunciando il tutto a soli tre giorni dall’arresto dei co-fondatori di Samourai.

Le indagini su Block

Tutto finito? Neanche per sogno.

Secondo due fonti anonime di NBC News i procuratori federali starebbero esaminando anche Block, società di cui è co-fondatore e presidente Jack Dorsey e che controlla aziende quali Square, Cash App e Spiral. Quest’ultima, in particolare, coinvolta nel finanziamento dello sviluppo open-source di progetti legati a Bitcoin.

Secondo gli investigatori Square e Cash App avrebbero elaborato transazioni in criptovalute legate a Paesi sottoposti a sanzioni da parte degli Stati Uniti.

Le reazioni di Acinq e zkSNACKs

Inutile dire che il clima di terrore imposto da questa serie di rappresaglie degli Stati Uniti ha spaventato molte aziende del settore che operano anche con clienti americani. Acinq, l’azienda a capo di Phoenix Wallet, ossia il wallet Lightning Network non-custodial più diffuso al mondo, ha annunciato che rimuoverà l’applicazione Phoenix dagli store statunitensi e fermerà il servizio per tutti i clienti a stelle e strisce.

A prendere una decisione ancora più drastica è stata zkSNACKs: la società proprietaria di Wasabi Wallet ha dapprima annunciato che il proprio sito avrebbe bloccato l’accesso agli IP statunitensi, per poi arrivare alla soluzione più radicale lo scorso 2 maggio con un comunicato ufficiale.

Dopo anni di impegno incessante per migliorare la privacy di Bitcoin, zkSNACKs, l'azienda pioniera nello sviluppo di Wasabi Wallet, chiude il suo servizio di coordinamento CoinJoin a partire dal 1° giugno 2024.

Antifragilità by default

Le conseguenze del processo di criminalizzazione della privacy riguardano non solo chi la utilizza per scopi illeciti, ma anche e soprattutto per chi la usa per scopi leciti e persino umanitari. La direttrice finanziaria dell’Anti-Corruption Foundation fondata dal dissidente russo Alexei Navalny ha reagito all’annuncio di Wasabi su Twitter:

Alla Fondazione ci siamo affidati a Wasabi per proteggere i nostri donatori dalla sorveglianza del governo russo e dai rischi di reclusione. Questo non è stato preso in considerazione dalle autorità statunitensi quando hanno iniziato ad attaccare gli strumenti per la privacy.

Non ho scritto questa fermata per spaventarvi, cari lettori. Bitcoin non è in pericolo. Anche nel caso in cui il governo americano e l’Ue dovessero seguire le orme delle più sanguinose autocrazie mondiali, dichiarando illegale qualsiasi utilizzo di Bitcoin, quest’ultimo non può essere fermato. La storia dimostra che quando viene attaccato, Bitcoin si decentralizza ulteriormente: è tutta qui la definizione di “antifragile” data da Nassim Nicholas Taleb nel 2014.

I modi per utilizzare la scoperta di Satoshi Nakamoto e proteggersi dal Grande Fratello finanziario sono disponibili già oggi, l’unica variabile è la voglia di scoprirli.

Nel caso del CoinJoin, dopo la fine di Samourai e Wasabi resta l’unico metodo autenticamente decentralizzato: JoinMarket. Per approfondirne il funzionamento e capire come utilizzarlo, vi lascio qui il link alla guida dettagliata stilata dall’esperto di privacy in Bitcoin Turtlecute.

In questa newsletter ho più volte scritto in varie forme che solo un clima ostile da parte dei regolatori avrebbe introdotto gli incentivi a utilizzare propriamente Bitcoin: senza affidarsi a intermediari, gestendo le proprie chiavi private, avvalendosi di strumenti come Tor e Vpn, utilizzando software autenticamente decentralizzati come i marketplace P2P (Bisq e Robosats su tutti) e dimenticandosi gli exchange centralizzati che gestiscono i fondi degli utenti.

Ebbene, il clima ostile è arrivato negli Stati Uniti e con ogni probabilità contagerà anche i governi europei. E’ giunto il momento di attivarsi e imparare a conoscere il vero potenziale di Bitcoin

Bertolt Brecht

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