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Fermata #189 - Stampa&Bitcoin - La Gioconda della disinformazione

Punto Informatico, una volta riferimento per molti appassionati di tecnologia, sforna un capolavoro di incompetenza su Bitcoin che difficilmente ha precedenti. Il debunking

Da punto di riferimento dell’informazione tecnologica ad agglomerato di luoghi comuni e banalità. Sembra essere questa la parabola discendente che ha visto protagonista Punto Informatico, noto blog di notizie focalizzate sulla tecnologia.

Nato nel 1996, negli anni Punto Informatico si è affermato tra le fonti leader per la nicchia di appassionati tech, costituendo una risorsa autorevole e aggiornata per notizie, recensioni e approfondimenti. Negli ultimi tempi, tuttavia, la qualità dei contenuti è andata via via declinando, in particolare per il macro-tema delle criptovalute.

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Anziché fornire distinzione dettagliate tra i vari prodotti, la linea editoriale di Punto Informatico si è diretta verso l’unificazione delle “cripto” in un unico grande calderone, fino a produrre contenuti come il seguente: “Elenco Criptovalute: tutte le valute e notizie utili”. Un articolo che spiega a grandi linee il funzionamento di Bitcoin facendo chiaramente intendere che tutte le criptovalute abbiano una struttura simile. Non mancano all’interno dello stesso contenuto, naturalmente, i riferimenti e i link di affiliazione ad alcuni exchange centralizzati con capitoli clickbait caratterizzati da titoli del tenore di "Come guadagnare con le criptovalute”.

La goccia che ha fatto traboccare il vaso è però arrivata lo scorso 24 luglio con un articolo firmato da Tiziana Foglio. Il pezzo ha riportato la notizia del lancio da parte di Proton, l’azienda svizzera dietro Protonmail e molti altri servizi privacy-oriented, di Proton Wallet, un wallet bitcoin non-custodial che permette di inviare bitcoin direttamente dalla casella e-mail.

Ma l’articolo non si è limitato alla sola cronaca. Il capitolo di commento alla notizia principale è stato intitolato “Proton Wallet, scommessa rischiosa su una criptovaluta controversa”, ed è un capolavoro di luoghi comuni e disinformazione difficilmente eguagliabile.

Si legge:

Il Bitcoin è una criptovaluta decentralizzata che viene utilizzata soprattutto come investimento speculativo o come pagamento a cyber criminali (per ransomware o acquisti illegali), mentre i normali pagamenti peer-to-peer costituiscono una percentuale minore delle transazioni. Inoltre, a causa del modello proof-of-work, consuma molta più elettricità rispetto a transazioni analoghe nel sistema bancario globale (fiat). Senza contare che l’elettricità proviene spesso da centrali a carbone e altre fonti energetiche non rinnovabili.

Avrete già capito che i punti da affrontare sono diversi, per cui andiamo con ordine.

Punto 1: l’utilizzo criminale di bitcoin

“Bitcoin [...] viene utilizzata soprattutto come investimento speculativo o come pagamento a cyber criminali, mentre i normali pagamenti peer-to-peer costituiscono una percentuale minore delle transazioni”.

In questo caso non servono mezzi termini. Si parla di una vera e propria fake news. Persino plateale. I numeri raccolti da Chainalysis dicono l’esatto opposto. L’agenzia di analisi on-chain ha stimato nel suo tradizionale report annuale che le transazioni a scopo illecito nel mondo delle criptovalute - in gran parte costituito da Bitcoin - rappresentino lo 0,34% del volume totale.

Punto 2: il consumo energetico superiore alle banche

“Il modello proof-of-work consuma molta più elettricità rispetto a transazioni analoghe nel sistema bancario globale".

Anche in questo caso si può parlare di falsità conclamata e anche in questo caso i dati sono platealmente contrastanti con l’affermazione dell’autrice. Secondo il Cambridge Bitcoin Electricity Consumption Index, la stima dell’elettricità impiegata annualmente nel mining di Bitcoin è di 162 TWh.

Per quanto riguarda il sistema bancario, i numeri arrivano da Galaxy Digital che prende in considerazione i server delle principali 100 banche mondiali, le loro filiali fisiche, i loro ATM e i circuiti delle carte di pagamento. La stima ammonta a 264 TWh annuali, oltre 100TWh in più rispetto a Bitcoin.

Punto 3: le fonti energetiche utilizzate per generare l’elettricità impiegata nel mining

"L’elettricità proviene spesso da centrali a carbone e altre fonti energetiche non rinnovabili".

Questa non è una palese bugia, ma è indubbiamente un’informazione tendenziosa. Soprattutto se si considera il fatto che le altre fonti non vengono nemmeno menzionate. L’intenzione dell’autrice è far pensare ai lettori che gran parte dell’elettricità veicolata verso il mining venga prodotta da centrali a carbone, il ché è falso. Secondo gli ultimi dati di Daniel Batten oggi il 56% dell’elettricità impiegata nel mining proviene da fonti rinnovabili e il carbone - che pur è presente - è meno rilevante dell’idroelettrico.

Una deriva generalizzata

Purtroppo la deriva di Punto Informatico è sintomatica di una più ampia crisi che affligge il giornalismo: la mancanza di rigore e la tendenza a semplificare eccessivamente temi complessi per rastrellare click facili. L'articolo di Tiziana Foglio è un esempio lampante di come la superficialità possa sfociare in disinformazione, danneggiando non solo la reputazione di un'intera testata, ma anche i lettori che vi fanno affidamento per comprendere fenomeni tecnologici cruciali.

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