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Fermata #192 - Senza proprietà privata non esistono diritti

Perché il concetto di diritti umani perde valore senza una solida base nei diritti di proprietà. Una riflessione critica sull'importanza della proprietà privata da parte di Murray Rothbard

Estratto de L’etica della libertà

Autore: Murray N. Rothbard

Editore: Liberilibri

Anno di pubblicazione: 1982

Solitamente, i liberals preferiscono riservare l'appellativo di "diritti" a diritti "umani", come la libertà di parola, e in tale concetto non comprendono la proprietà privata?

E tuttavia è vero l'esatto contrario: il concetto di "diritti" ha senso soltanto se li si considera come diritti di proprietà. Infatti, non solo non esistono diritti umani che non siano al tempo stesso diritti di proprietà ma, se questi ultimi non rappresentano la norma alla quale rapportarsi, i diritti umani perdono il loro valore assoluto e la loro chiarezza, facendosi confusi e vulnerabili.

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Iniziamo coll'affermare che i diritti di proprietà possono essere considerati identici ai diritti umani in due sensi: in primo luogo, la proprietà può derivare soltanto dalle persone, cosicché i loro diritti alla proprietà sono diritti che appartengono agli esseri umani; inoltre il diritto al proprio corpo, alla libertà personale, è un diritto alla proprietà della persona, oltre che un "diritto umano". Ma, e questo ha una maggiore importanza per il nostro esame, i diritti umani, quando non vengono espressi in termini di diritti di proprietà, si dimostrano vaghi e contraddittori, facendo sì che i liberals indeboliscano quegli stessi diritti in nome della "politica pubblica" o del "bene generale". Come ho detto in un altro mio libro: 

Prendiamo, ad esempio, il "diritto umano" della libertà di parola. In teoria, questo dovrebbe significare che ognuno ha il diritto di dire ciò che vuole. Ma la domanda inespressa è: dove? dov'è che un uomo gode di tale diritto? Certamente non su una proprietà di cui ha violato i confini. Cioè, egli gode di questo diritto soltanto sulla sua proprietà o sulla proprietà di qualcuno che gli ha permesso di entrarvi, come regalo o secondo un contratto d'affitto. In effetti, dunque, non esiste un "diritto di libertà di parola" indipendente; esiste soltanto il diritto di proprietà di un uomo: il diritto di fare ciò che vuole di quel che è suo o di stringere accordi volontari con altri proprietari.

In breve, una persona non ha il "diritto alla libertà di parola"; quello che effettivamente possiede è il diritto di affittare una sala e di rivolgersi a chi vi entra. Non si ha il "diritto alla libertà di stampa"; quello che si ha è il diritto di scrivere o pubblicare un opuscolo e di venderlo a chi desidera acquistarlo (o di regalarlo a chi lo accetta). Cioè, in entrambi questi casi si possono vantare solo diritti di proprietà, compreso il diritto alla libertà negoziale che ne è parte.

Il teorico politico francese Bertrand de Jouvenel ha invocato l'indebolimento della libertà di parola e dei diritti di riunione in quello che ha definito il "problema del presidente", cioè il problema di assegnare il tempo o lo spazio nella sala dell'assemblea, o sulle pagine di un giornale, o ancora davanti a un microfono, quando gli oratori sono convinti che il "diritto" alla libertà di parola conceda loro l'uso della risorsa in questione. Quello che de Jouvenel ha trascurato è la nostra soluzione al "problema del presidente": riformulare il concetto di diritti in termini di diritti di proprietà piuttosto che in termini di libertà di parola o di assemblea.

In primo luogo possiamo notare che, in ciascuno degli esempi presentati da de Jouvenel (un uomo che parla davanti a un'assemblea, una persona che scrive a un giornale, un'altra che chiede di parlare alla radio), lo scarso tempo o spazio che viene offerto è libero, nel senso che è gratuito. Si tratta di un classico esempio di quello che gli economisti chiamano “il problema del razionamento”. Una risorsa scarsa, se non viene assegnata per mezzo dei prezzi, dev'essere assegnata in qualche altro modo da chi la possiede. Si deve notare che gli esempi di de Jouvenel potrebbero essere assegnati per mezzo di un sistema di prezzi, se questo fosse il desiderio del proprietario. Il presidente dell'assemblea potrebbe chiedere offerte in denaro per i pochi posti disponibili per parlare e poi assegnarli ai migliori offerenti. Il direttore della radio potrebbe fare la stessa cosa con i partecipanti al suo programma (in effetti, questo è quanto avviene quando i direttori delle radio vendono il tempo di trasmissione agli sponsor). Non ci sarebbero scarsità, né risentimenti dovuti al vedersi rimangiare una promessa (quella del "pari accesso" del pubblico al podio degli oratori, alle colonne dei giornali o al microfono della radio).

Ma al di là del problema dei prezzi si trova una questione più profonda, in quanto, che sia tramite i prezzi o tramite qualche altro criterio, in ogni caso la risorsa deve essere assegnata dal suo proprietario. Il proprietario della stazione radio o del programma (che ne è l'agente) affitta o dona il tempo di trasmissione in un modo deciso da lui; il proprietario del giornale, o il suo agente, cioè il caporedattore, assegna lo spazio alle lettere che riceve nel modo che ritiene più opportuno; il "proprietario" dell'assemblea o il presidente, suo agente designato, assegna lo spazio al podio nel modo che preferisce.

Infatti, il tale che scrive una lettera al giornale non è il proprietario del giornale stesso: egli non ha diritto allo spazio sulle sue pagine, ma lo sta chiedendo, e il proprietario ha il diritto assoluto di accogliere o respingere la sua richiesta.

Colui che chiede di parlare davanti a un'assemblea non ha il diritto di parlare, ma sta solo facendo una richiesta sulla quale il proprietario o il suo rappresentante, il presidente, devono decidere. La soluzione consiste nel ridefinire il significato del "diritto alla libertà di parola" o di "assemblea"; invece di valerci del concetto, vago e, come dimostra de Jouvenel, inapplicabile, di una qualche specie di diritto paritario allo spazio o al tempo, dovremmo concentrarci sul diritto di proprietà privata.

Solo quando il "diritto alla libertà di parola" viene trattato alla stregua di una componente del diritto di proprietà, esso diviene valido, applicabile e assoluto.

In generale, i casi in cui sembra necessario indebolire i diritti sono quelli nei quali non è stato definito con precisione dove risieda la proprietà, cioè quelli nei quali i diritti di proprietà sono confusi. Molti problemi di "libertà di parola" si verificano nelle strade di proprietà statale. Ad esempio, se un'amministrazione pubblica ritenesse che un incontro politico intralcerebbe il traffico o imbratterebbe le strade di volantini dovrebbe autorizzarlo? 

Solitamente le strade sono di proprietà dello Stato che, in tali casi, funge da "presidente dell'assemblea". Lo Stato, quindi, come ogni altro proprietario, deve affrontare il problema di assegnare risorse scarse. Ammettiamo che una manifestazione politica per strada blocchi il traffico; in tal caso, la decisione dello Stato implica non tanto il diritto alla libertà di parola, quanto l'assegnazione dello spazio stradale da parte del proprietario.

Dobbiamo notare che l'intero problema non insorgerebbe se le strade, come avverrebbe in una società libertaria, fossero proprietà privata di individui e aziende. In tal caso, infatti, come avviene per ogni altra forma di proprietà privata, esse potrebbero essere affittate o donate ad altri individui o gruppi privati per tenervi un'assemblea. In una società pienamente libertaria, non si avrebbe più "diritto" ad usare la strada altrui di quanto non si avrebbe il "diritto" di impossessarsi della sala per conferenze di qualcun altro; in entrambi i casi, l'unico diritto sarebbe il diritto di proprietà, di impiegare il proprio denaro per affittare la risorsa.

Naturalmente, finché le strade continueranno ad essere di proprietà statale, il problema resterà insolubile, giacché il possesso delle strade da parte dello Stato significa che tutti gli altri diritti di proprietà di una qualsiasi persona, compreso il diritto di parola, di assemblea, di volantinaggio, etc., sarà ostacolato e ristretto dall'onnipresente necessità di percorrere e utilizzare le strade dello Stato. Quest'ultimo dovrà decidere se e come bloccare o limitare l'uso delle strade. Se permetterà la manifestazione, intralcerà il traffico, ma se impedirà l'incontro per permettere lo scorrimento del traffico, limiterà la libertà d'accesso alle strade di proprietà statale. In ogni caso, qualunque decisione venga presa, si dovranno limitare i "diritti" di alcuni contribuenti.

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