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Fermata #198 - Telegram, X, Meta. Casi diversi, casi identici
Censura occulta e rifiuto alla cooperazione. Le notizie delle ultime settimane hanno riacceso il dibattito sulla libertà di parola online. Il punto, però, è molto diverso.
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L’eterno dibattito sul ruolo delle piattaforme
Di chi è la responsabilità dei contenuti pubblicati sui social network?
Quale dovrebbe essere il ruolo delle piattaforme nella moderazione dei contenuti?
Chi dovrebbe essere interpellato nei casi di controversia legati a contenuti illeciti?
Dovrebbe esistere un limite alla libertà di parola online? Dove tracciare la linea di confine?
Sono solo alcune delle molteplici domande che caratterizzano da anni il dibattito legato non solo al mondo dei social network ma, più in generale, a quello delle interazioni online.
Nelle ultime settimane gli animi si sono riaccesi per via di tre casi che hanno fatto sbandierare gli slogan - a seconda della prospettiva - della lotta agli illeciti e della censura: Telegram, Meta e X.
Casi dissimili, in cui le piattaforme e i loro dirigenti si sono comportati in modo diverso tra loro. La collaborazione con le autorità nel caso di Meta, la riluttanza alla cooperazione nei casi di Telegram e X. Tutte e tre le vicende, però, sono accumunate da un punto chiave. Forse il punto chiave per eccellenza. La capacità di intervenire sui contenuti che ospitano.
Per capirne il motivo, un breve riassunto di quanto successo.
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Telegram, Meta e X. Tre casi diversi, unica origine
Telegram: Durov e le accuse in Francia
Pavel Durov, fondatore di Telegram, è stato arrestato a Parigi lo scorso 24 agosto nell’ambito di un’inchiesta che le autorità francesi portano avanti da mesi nei confronti della piattaforma di messaggistica.
Come riportato da Atlas21, le accuse sono molteplici: riciclaggio di denaro, traffico di droga, pornografia infantile e rifiuto di cooperare con le forze dell’ordine. Nel comunicato stampa pubblicato dal Procuratore si parla persino di violazioni relative all’importazione e all’esportazione di strumenti di crittografia: un approccio che ricorda quello degli Stati Uniti negli anni ‘90, quando il governo considerava la crittografia al pari di un’armamento. Interpretazione che cambiò solo grazie all’esito delle Crypto Wars.
Di fatto, la cronaca ci racconta che Pavel Durov è stato rilasciato dopo pochi giorni dietro il pagamento di una cauzione di €5 milioni e con il divieto di lasciare i confini francesi.
Attraverso un tweet, Telegram aveva inizialmente dichiarato di rispettare le leggi europee. Ma lo scorso 6 settembre il fondatore di Telegram ha deciso di contrattaccare, lasciando poco spazio alle interpretazioni.
"A volte non possiamo trovare un accordo con i regolatori di alcuni Paesi sul giusto equilibrio tra privacy e sicurezza", ha affermato Durov, aggiungendo che, se necessario, Telegram lascerà i mercati che non sono compatibili con questi principi.
Questa, va sottolineato, non è la prima volta che Durov si trova in conflitto con le autorità. In passato aveva già rifiutato di collaborare con la Russia negando l'accesso ai dati personali degli utenti di Telegram. Questo rifiuto aveva portato al temporaneo blocco della piattaforma in Russia nel 2018.
Meta: le pressioni della Casa Bianca e le rivelazioni di Zuckerberg
Mark Zuckerberg, Ceo di Meta, ha recentemente rivelato alcune pressioni ricevute dalla Casa Bianca durante la pandemia. In una lettera inviata al Comitato Giudiziario della Camera degli Stati Uniti, Zuckerberg ha dichiarato che l'amministrazione Biden ha spinto Meta a eliminare contenuti relativi al virus, compresi post satirici e critici. Zuckerberg ha spiegato che, nel 2021, Meta ha rimosso più di 20 milioni di post legati al Covid-19, ma ha anche espresso rammarico per alcune delle decisioni prese, ammettendo che l'azienda ha ceduto a una pressione politica eccessiva.
Zuckerberg ha sottolineato come queste richieste siano state percepite dall'azienda come un obbligo più che una scelta e che, con il senno di poi, alcune di queste azioni potrebbero essere state un errore. L’impegno futuro di Meta, secondo Zuckerberg, sarà quello di resistere meglio a simili pressioni, anche in situazioni di emergenza.
“Ritengo che la pressione del governo sia stata sbagliata e mi rammarico di non essere stati più trasparenti al riguardo”.
X e lo scontro con il governo brasiliano
Elon Musk e X (ex-Twitter) sono al centro di una disputa legale in Brasile, dove la piattaforma è stata bloccata dopo il rifiuto di Musk di nominare un rappresentante legale locale, come richiesto dalla Corte Suprema del Paese. La questione è nata quando il giudice Alexandre de Moraes ha ordinato a X di sospendere alcuni account accusati di diffondere disinformazione politica, in particolare quelli associati all'ex presidente Jair Bolsonaro e ai suoi sostenitori.
La reazione di Musk è stata dura. Ha accusato la Corte Suprema di corruzione e di violare la libertà di espressione, criticando de Moraes e definendolo un "criminale". Tuttavia, il giudice ha proseguito nella sua azione legale contro Musk e la sua azienda, arrivando persino a congelare i conti bancari di Starlink, la divisione satellitare di Musk, per fare pressione e costringere X a conformarsi alle leggi brasiliane.
Moraes was demanding that 𝕏 take actions that are illegal under Brazilian law and be silent about it.
If that is not extreme corruption, what is?
— Elon Musk (@elonmusk)
8:15 AM • Sep 5, 2024
Le autorità brasiliane stanno persino perseguendo anche chi tenta di accedere alla piattaforma utilizzando VPN, un fatto che ha suscitato ulteriori polemiche sulla libertà in Brasile.
Attualmente, la piattaforma rimane sospesa, con circa 21 milioni di utenti brasiliani tagliati fuori dal servizio. La controversia legale è ancora in corso e potrebbe avere ripercussioni a lungo termine per la presenza di X in Brasile, uno dei mercati più grandi della piattaforma.
La proprietà dei contenuti
Telegram e X sono andati nelle grane per aver rifiutato di piegarsi alla moderazione dei contenuti imposta da varie giurisdizioni. Meta invece non è andata nelle grane per aver accettato le direttive della Casa Bianca e aver rimosso quanto segnalato da Washington, tra cui anche contenuti “satirici e ironici”, come si legge testualmente nella lettera.
La discriminante, in tutti e tre i casi, è una sola: la capacità stessa di intervenire su quanto viene pubblicato sulla piattaforma. I termini e le condizioni di Meta e X non rivendicano formalmente la proprietà dei contenuti che gli utenti pubblicano, ma chiariscono che questi ultimi concedono alle aziende una licenza non esclusiva, esente da royalty e valida in tutto il mondo per utilizzare, distribuire, modificare e mostrare i contenuti in relazione ai servizi offerti. I termini di Telegram sono leggermente più stringenti: anche qui gli utenti mantengono formalmente la proprietà dei loro contenuti, ma Telegram richiede una licenza per distribuire e mostrare i contenuti solo all'interno del suo ecosistema.
Il risultato, però, non cambia. Qualunque cosa venga pubblicata dagli utenti può essere modificata dalla piattaforma secondo il contratto implicito a cui ogni singolo utilizzatore aderisce nel momento in cui inizia a usufruire del servizio.
Torna di moda Nostr
Non è un caso, quindi, che nelle ultime settimane tanti di coloro che tengono a temi quali privacy e resistenza alla censura abbiano fatto tornare d’attualità Nostr. Il protocollo, approfondito nella fermata #72 e il cui acronimo sta per Notes and Other Stuff Transmitted by Relays, può essere utilizzato attraverso vari client, non un’unica piattaforma: similmente a come il Web è accessibile da diversi browser. Ma soprattutto, gli utenti che creano un account non lo fanno tramite uno username e una password salvati sui server dell’azienda - che, in questo caso, non esiste - ma tramite una chiave pubblica e una chiave privata.
La coppia di chiavi consente di interagire con Nostr da più client e di inviare le proprie “note” - così vengono chiamati i post su Nostr - a quanti relay (server) si desidera. In poche parole, i dati non sono salvati su un unico server ma su più server scelti dall’utente - e l’utente stesso può metterne in piedi uno senza grandissime difficoltà - ma soprattutto i dati sono portabili.
Tutte le informazioni di un account - i suoi post, i suoi repost, i suoi like e i suoi zap (le mance che è possibile inviare tramite il Lightning Network direttamente sui post che compaiono nel feed) - sono custodite dalla chiave privata. I post inviati vengono firmati crittograficamente: nel caso di Nostr la proprietà delle informazioni non è solo formalmente dell’utente, lo è matematicamente.
In un tale contesto prendersela con il gestore di un client o di un relay per i contenuti firmati e pubblicati dalle chiavi private degli utenti rasenterebbe la follia, oltre a evidenziare una chiara ignoranza tecnica. Certo è che dopo le accuse del dipartimento di giustizia Usa agli sviluppatori di Samourai Wallet - raccontate nella fermata #170 - è lecito essere pronti ad aspettarsi di tutto.
Ma dare una chance a soluzioni come Nostr significa soprattutto considerare la possibilità di riappropriarsi della propria identità online e non essere più vittime inconsapevoli della manipolazione di algoritmi proprietari e governi invasivi.
Mi trovate su Nostr digitando [email protected]. Ho creato il mio account a dicembre 2022 e nel corso dell’ultimo anno e mezzo ho notato un netto miglioramento in termini di UX-UI. Provare per credere: date una chance a Primal (no adv) e fatemi sapere cosa ne pensate, magari scrivendomi direttamente lì.
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