Fermata #199 - I primi passi del Regno Unito

Londra propone la Property (Digital Assets etc) Bill per far rientrare i digital asset nei confini della proprietà privata. Pregi e difetti dell'interpretazione del nuovo disegno di legge

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Una legge per definire i confini entro i quali Bitcoin e digital asset potranno essere legalmente considerabili proprietà privata. E’ ciò a cui sta pensando il Ministero della Giustizia del Regno Unito che, insieme alla deputata laburista Heidi Alexander, lo scorso 11 settembre ha presentato in Parlamento un disegno di legge intitolato The Property (Digital Assets etc) Bill.

A comunicarlo è stato lo stesso governo inglese tramite un comunicato stampa in cui si legge che gli asset digitali ad oggi “non sono inclusi nell'ambito di applicazione del diritto di proprietà”, lasciando i proprietari “in una zona grigia dal punto di vista legale in caso di interferenza con i loro beni”.

La nuova legge, sempre secondo il governo, fornirebbe “una protezione legale ai proprietari e alle aziende contro le frodi e le truffe, aiutando al contempo i giudici a gestire i casi complessi in cui i beni digitali sono contestati o fanno parte di accordi, ad esempio nelle cause di divorzio”.

Non è stato ancora deciso se e quando il disegno di legge verrà discusso in Parlamento e, di conseguenza, nemmeno quando sarà votato. Resta però l’importanza di un’iniziativa da first-mover che vale la pena analizzare perché, qualora venisse implementata, potrebbe diventare il benchmark per altre giurisdizioni in futuro.

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Il disegno di legge

La proposta è stata formulata in base a un rapporto stilato dalla Law Commission, un organismo indipendente che è stato istituito dal Law Commissions Act nel 1965 e la cui funzione principale è quella di rivedere e riformare le leggi del Paese.

Il documento sostiene come i digital asset non possano essere facilmente classificati né come "cose in possesso" né come "cose in azione", proponendo quindi l’aggiunta di una terza categoria.

Tradizionalmente il diritto britannico distingue tra cose in possesso (beni fisici, come un'auto o una casa) e cose in azione (diritti legali, come crediti o obbligazioni).

Secondo la commissione i beni digitali non rientrano pienamente in nessuna di queste categorie e andrebbero quindi ascritti a una terza categoria. Quest’ultima verrebbe chiamata digital objects e gli elementi al suo interno dovrebbero soddisfare tre criteri fondamentali:

  1. Esistenza indipendente: i digital asset devono esistere indipendentemente da persone fisiche e dal sistema legale. Questo è vero nel caso di Bitcoin, che esiste all’interno della timechain;

  2. Non duplicabilità: quando un individuo utilizza o possiede un digital asset, un altro individuo non può possederlo nello stesso momento, così come accade con il denaro tradizionale;

  3. Non appartenere alle categorie tradizionali: i beni non possono essere catalogati contemporaneamente come cose in possesso o cose in azione.

Più nello specifico, per la commissione i digital asset sono riconducibili al concetto di proprietà quando permettono di:

  • Effettuare pagamenti per beni e servizi;

  • Trasferire o comunicare valore attraverso mezzi elettronici;

  • Ampliare la portata e l'accesso ai mercati;

  • Speculare e investire.

Il ruolo della Common Law

Uno degli aspetti più interessanti dell'approccio del Regno Unito è l'affidamento alla Common Law per determinare quali beni digitali possano essere oggetto di diritti di proprietà.

La Common Law britannica è un sistema giuridico basato sui precedenti e sull'interpretazione delle leggi da parte dei giudici. Si distingue principalmente dal sistema di diritto civile (come quello italiano o francese) per alcune caratteristiche quali, per citarne un paio, i precedenti vincolanti - le decisioni dei tribunali costituiscono precedenti che devono essere rispettati dalle corti in casi futuri che presentano fatti simili - e il ruolo centrale dei giudici che non solo applicano le leggi esistenti, ma spesso interpretano le norme riempiendo eventuali lacune legislative.

In un tale sistema la giurisprudenza può adattarsi alle specificità di ogni caso, trattando i digital asset in maniera più flessibile rispetto alle leggi scritte tradizionali.

I limiti dell’interpretazione

Secondo la Law Commission i digital asset – incluse le criptovalute e gli NFT – hanno le potenzialità per essere trattati come beni di proprietà personale. La Common Law inglese ha già mostrato una certa flessibilità nell'integrare certi strumenti nelle categorie di proprietà, riconoscendo che possano essere soggetti a diritti personali come il controllo e il trasferimento.

Un limite significativo del documento, tuttavia, è la costante generalizzazione del termine “digital asset o “digital object. All’interno di questi contenitore vengono ascritti Bitcoin, il resto delle criptovalute, le stablecoin, gli NFT, gli asset tokenizzati ecc.

Se è vero che Bitcoin risponde perfettamente al requisito di esistenza indipendente, lo stesso non si può dire per tutto il resto. Le altre criptovalute, Ethereum compresa, gli NFT, le stablecoin, gli asset tokenizzati, esistono grazie alla presenza di aziende o consorzi di aziende che ne gestiscono e determinano regole, mantenimento e, in ultima istanza, esistenza.

Paradossalmente, Bitcoin ha molte più caratteristiche in comune con quelle che la Law Commission chiama cose in possesso (casa, auto ecc.) che con il resto dei digital asset.

La proprietà privata in Bitcoin

Così come il possesso di un immobile si manifesta attraverso il controllo delle chiavi fisiche, il possesso di bitcoin si realizza attraverso il controllo delle chiavi crittografiche. Le chiavi di una casa non sono la casa in sé, ma ne consentono l'accesso al loro possessore. Analogamente, le chiavi private in Bitcoin non sono i bitcoin stessi, ma costituiscono il potere esclusivo di controllarli e di trasferirne la proprietà. Questo elemento di esclusività – chi possiede le chiavi detiene l'accesso – è un fondamento del diritto di proprietà: in Bitcoin lo stesso principio si applica in forma digitale.

La crittografia asimmetrica - spiegata in questa newsletter nella fermata #7 - è il mezzo tramite il quale Bitcoin raggiunge il suo fine: consentire l’esercizio della proprietà privata in ambito digitale senza la presenza di intermediari fidati.

Un esercizio che offre più garanzie rispetto a quelle cui siamo abituati da decenni. Immobili, metalli preziosi, conti correnti: tutti questi sono elementi la cui proprietà privata è soggetta alla tutela della banca o della legge e quindi dipendente da un intermediario o da più intermediari, sia questo privato nel caso della banca, sia questo pubblico nel caso dell’ordinamento giuridico. Lo dimostrano innumerevoli eventi storici, come la confisca dell’oro da parte del governo Usa nel 1933 e il prelievo forzoso dai conti correnti degli italiani da parte del governo Amato nel 1992, dettagliati nella fermata #29.

Ebbene, lo stesso esercizio di proprietà che permette Bitcoin non può essere associato anche al resto dei digital asset, in cui la vita stessa dell’asset digitale dipende da uno o più intermediari.

Fortunatamente, come sopra evidenziato, il documento rimanda gran parte della responsabilità interpretativa ai giudici dei singoli casi grazie alla forma della Common Law: starà a loro non cadere nella trappola della generalizzazione.

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