Fermata #20 - L'Ue contro Bitcoin

Il Parlamento Ue ha rinviato il voto della direttiva che avrebbe bandito la Proof-of-Work, l'algoritmo alla base del mining di Bitcoin. Cosa significa? Quali le implicazioni?

Si chiama MiCA - Markets in Crypto Assets - ed è il pacchetto di norme su cui sta lavorando l’Ue dal 2019 per regolamentare il mondo delle criptovalute. Il MiCA era in attesa di essere approvato dal Parlamento di Strasburgo il 28 febbraio per essere poi inviato al Consiglio e alla Commissione Ue per la revisione, ma la votazione è stata rinviata a data da destinarsi. Il motivo è da ricercarsi nel dibattito che si è scatenato attorno agli emendamenti più recenti e, in particolare, a questo passaggio:

È urgente sottolineare la necessità di meccanismi di consenso più amici dell’ambiente e richiamare la Commissione all’identificazione di meccanismi che possano essere una minaccia all’ambiente in relazione al consumo energetico, alle emissioni di CO2, all’utilizzo di risorse, di produzione di rifiuti elettronici. I meccanismi di consenso non sostenibili dovrebbero essere applicati soltanto su una piccola scala.

Queste poche righe sono state interpretate dai principali stakeholder come un attacco frontale alla Proof-of-Work, l’algoritmo che sta alla base del mining di Bitcoin e che viene da molti criticato per la sua caratteristica energivora. Secondo il documento, le società attive nei servizi collegati alle criptovalute non sarebbero più state in grado di lavorare con criptovalute basate sulla Proof-of-Work (come Bitcoin ed Ethereum) a partire da gennaio 2025.

Ad annunciare il rinvio del voto è stato Stefan Berger, parlamentare e relatore della direttiva MiCA, con un thread su Twitter:

Il voto del Parlamento Ue sul #MiCA sarà annullato su mia richiesta e non si svolgerà il 28 febbraio. In qualità di giornalista, è fondamentale per me che il rapporto non venga interpretato erroneamente come un divieto de-facto di #Bitcoin. […] Vedo l'urgenza di riprendere i colloqui e le negoziazioni con i gruppi parlamentari su questo tema per chiarire la questione #PoW (Proof-of-Work, ndr)

Energivoro, non inquinante

Il tema legato ai consumi energetici di Bitcoin è già stato affrontato da questa newsletter più volte - in particolare nella fermata #1 “Bitcoin vs Greenwashing” - e ne ho anche recentemente parlato in una video intervista a Criptovaluta.it.

Per capire perciò cosa significhi provare a limitare la Proof-of-Work è utile fare un passo indietro e comprendere a grandi linee il senso di questo algoritmo.

Mining e Proof-of-Work

Il mining è quel processo che serve a decentralizzare la sicurezza di Bitcoin mettendo a disposizione del network potenza di calcolo, in cambio della quale si viene ricompensati con bitcoin nuovi “di zecca”. Coloro che forniscono la potenza computazionale sono chiamati miner.

L’algoritmo che regola il processo di consenso1 alla base del mining è detto di Proof-of-Work (prova di lavoro): il suo principio fondamentale consiste nel dover dimostrare di aver svolto una certa quantità di lavoro - e aver quindi speso delle risorse - per poter essere ricompensati economicamente. Un sistema volutamente in netto contrasto con quello delle valute fiat, in grado di essere emesse a costo zero e a discrezione delle banche centrali.

Per ottenere i nuovi bitcoin è necessario guadagnare il diritto a scrivere un blocco della blockchain, ossia un pacchetto di informazioni che contiene, tra le altre cose, le transazioni avvenute nella rete negli ultimi minuti: è per questo che alcuni definiscono la blockchain come un “registro contabile decentralizzato” (e di fatto lo è, ma è anche molto altro). Per poterlo fare è necessario trovare una soluzione a un quesito matematico che, nel tempo, diventa sempre più complesso e che richiede molta potenza di calcolo: chi nella rete trova per primo la soluzione scrive il blocco e, se questo risulta coerente con le informazioni del resto del network - se quindi non contiene transazioni o informazioni invalide -, ottiene in cambio i bitcoin di ricompensa più tutte le commissioni delle transazioni incluse nel blocco.

La soluzione al quesito matematico, che viene condivisa con il network, è definita “prova di lavoro”, perché chi la trova dimostra di aver utilizzato una significativa capacità computazionale e merita quindi di essere remunerato: è questo il concetto di Proof-of-Work.

Bandire gli indovinelli

Come spiega molto bene il bitcoiner Gigi nel suo articolo “Le implicazioni del rendere illegale Bitcoin”, fare mining non è altro che provare a indovinare un numero: proviamo a capire perché.

Nel mining viene utilizzato l’algoritmo crittografico SHA-256: questo significa che qualunque sia il contenuto da crittografare, il risultato (detto hash) sarà sempre un numero a 256 bit.

Ciò che viene chiesto ai miner è di trovare un testo che produca un hash inferiore a una certa soglia: non esiste una formula matematica per trovare subito la soluzione, l’unico modo è quello di fare più prove possibili fino a quando non si trova un numero compatibile con il quesito. Come dimostra un video del 2014, in linea teorica i tentativi possono essere fatti anche a mano perché si tratta di pura matematica: il motivo per cui a eseguirli sono chip altamente specializzati è che per sperare di trarre profitto dall’attività oggi serve una potenza di calcolo in grado di processare centinaia di migliaia di miliardi di hash al secondo.

Come già scritto nella fermata #3, maggiore è la potenza di calcolo, più alta è la probabilità di trovare una soluzione corretta prima degli altri miner e poter così scrivere il nuovo blocco della blockchain assegnandosi i nuovi bitcoin come ricompensa.

Di fatto, bandire la Proof-of-Work equivale a bandire gli indovinelli matematici: semplicemente non si può.

L’esperimento fallimentare cinese

L’Ue farebbe bene a studiare anche quanto avvenuto in Cina dopo che Pechino ha deciso di bandire ogni aspetto di Bitcoin - mining incluso - più volte negli ultimi anni.

Le misure, seppur adottate da un regime che non è solito farsi scrupoli nell’applicare le proprie regole, sono risultate inefficaci. Come ha riportato CNBC lo scorso dicembre, nonostante il mining ban, il 20% della potenza di calcolo globale del network Bitcoin deriverebbe ancora dalla Cina. Inoltre, malgrado il divieto di utilizzo, la Cina è il tredicesimo Paese al mondo per adozione di criptovalute.

L’impossibilità di attuare concretamente i ban sul proprio territorio - come si impedisce ai privati di eseguire una funzione crittografica? - renderà certi divieti effettivi solamente a livello pubblico, tra le strutture e le imprese gestite direttamente dagli stati. L’unico effetto di un divieto della Proof-of-Work in Ue sarebbe quello di eliminare in partenza i governi dell’Unione da una corsa globale a Bitcoin che in questi mesi sta iniziando a muovere i primi passi.

Lo sanno bene Ucraina e Russia, i cui governi - pur con interessi e obiettivi profondamente differenti (l’approfondimento nella fermata #19) - si sono mossi recentemente per regolamentare il mondo delle criptovalute.

Donazioni in Bitcoin all’Ucraina

Il governo ucraino ha chiesto ufficialmente donazioni in bitcoin, ether e usdt per affrontare l’emergenza dovuta all’attacco russo. Per chi volesse inviare un aiuto, lascio qui il tweet che riporta gli indirizzi Btc ed Eth.

Reply

or to participate.