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Fermata #205 - Luci e ombre di Money Electric
HBO indica Peter Todd come possibile Satoshi Nakamoto. Le prove sono debolissime e l'indagine è un buco nell'acqua, ma la spiegazione di Bitcoin è molto ben ingegnata. Pregi e difetti del documentario
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Attenzione: il seguente articolo conterrà degli spoiler, per cui suggerisco di mettere in pausa la lettura a chi volesse prima vedere il documentario.
L’8 ottobre scorso la casa di produzione americana HBO - proprietà del gruppo Warner Bros. Discovery - ha rilasciato Money Electric: The Bitcoin Mystery. Il documentario, condotto dal regista Cullen Hoback e disponibile al momento solo per il pubblico statunitense, è stato immediatamente diffuso tramite le piattaforme di file sharing P2P ed è quindi facilmente reperibile online.
Prendendo in considerazione tutti gli elementi che si sono susseguiti in oltre un’ora e mezza di documentario, il giudizio personale è combattuto tra due sensazioni:
La soddisfazione di aver assistito a un’accurata spiegazione delle origini di Bitcoin, delle sue radici culturali, delle motivazioni legate alla sua nascita e dei problemi intrinseci del sistema finanziario tradizionale.
La frustrazione di una teoria complottista - secondo cui Bitcoin sarebbe stato manomesso da attori del governo americano infiltrati tra i bitcoiner per non svolgere la funzione di mezzo di scambio - e di una caccia a Satoshi Nakamoto priva di elementi anche solo lontanamente credibili e, soprattutto, pericolosa per l’uomo individuato: Peter Todd.
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Gli aspetti negativi
Il surreale complottismo su Replace-By-Fee (RBF)
Uno dei problemi centrali del documentario è l’inserimento di teorie complottiste che mirano a spiegare l'evoluzione di Bitcoin attraverso interventi esterni, principalmente governativi, che avrebbero cercato di manipolare la tecnologia evitando che scalasse verso l’alto in termini di numero di transazioni processate, con l’obiettivo mantenere la sola funzione di riserva di valore e rendere tecnicamente impossibile quella di mezzo di scambio.
La ragione ultima è che, in questo modo, le transazioni quotidiane sarebbero potute avvenire solamente attraverso intermediari e, di conseguenza, sarebbero state facilmente controllabili da parte delle autorità. L’obiettivo del governo Usa sarebbe quindi stato quello di influenzare negativamente lo sviluppo di Bitcoin. Un’idea di per sé non irrealistica, ma è qui che le cose diventano paradossali.
Hoback, stuzzicato da Roger Ver, rivanga la storia di una e-mail che sarebbe stata inviata a Peter Todd nel 2013 da un tale John Dillon. Quest’ultimo, dichiarando per iscritto di ricoprire un ruolo di “alto livello” nell’intelligence, avrebbe richiesto di sviluppare Replace-By-Fee (RBF) per la ridicola somma di $500.
RBF è una funzione che consente di sostituire una transazione non confermata con una versione diversa della transazione che paga una commissione più alta, con l’obiettivo di portare a una conferma più rapida. E a questo punto è proprio Roger Ver a offrire lo spunto narrativo: RBF avrebbe portato le commissioni alle stelle, rendendo anti-economico utilizzare Bitcoin per le transazioni quotidiane e, di conseguenza, l’obiettivo del governo Usa sarebbe stato raggiunto.
Roger Ver nel documentario Money Electric
La storia ha dimostrato come la teoria fosse priva di fondamento - le commissioni non si sono alzate con RBF - ma il fatto che Todd abbia effettivamente contribuito a sviluppare RBF ha convinto l’autore che quella fosse un’ipotesi credibile. La teoria secondo cui lo stesso Todd avrebbe collaborato con il governo viene presentata con una leggerezza disarmante, senza che vi siano prove concrete, e Todd, comprensibilmente, nega tutto. In questo complotto, poi, si nasconde un’incoerenza fondamentale: per quale motivo Satoshi Nakamoto avrebbe voluto collaborare con il governo per evitare che Bitcoin diventasse cash digitale?
La Blocksize War, capita male e raccontata peggio
Il documentario propone una visione distorta della cosiddetta “Blocksize War”, raccontata in questa newsletter nella fermata #23.
La tesi rispecchia l’esatto opposto di quello che è accaduto in realtà. Sempre deviato dalle parole di Roger Ver, Hoback ipotizza che il fallito aumento della capienza dei blocchi di Bitcoin abbia portato a una centralizzazione del network attorno al team di Blockstream. E’ vero il contrario: in caso di aumento del blockspace la rete sarebbe andata incontro a un’inevitabile centralizzazione, come ha dimostrato il triste destino di Bitcoin Cash.
Secondo il documentario, l’esito della guerra avrebbe persino avuto l’effetto di consentire le transazioni quotidiane in bitcoin “solamente tramite strumenti forniti da Blockstream”. Ovviamente non si fanno nomi, anche se il sospetto è che il riferimento sia a Liquid. Ciò che fa trasparire l’evidente malafede è che non c’è una singola menzione del Lightning Network che permette transazioni a basso costo, non richiede necessariamente intermediari e non è certo controllato da Blockstream.
In generale, Hoback concede eccessivo spazio a personaggi discutibili come Roger Ver e Gavin Andresen, le cui opinioni, per quanto rappresentative di un certo momento nella storia di Bitcoin, risultano distorte dal contesto in cui vengono presentate.
La caccia all’uomo con indizi inesistenti
La caccia all'uomo nei confronti di Peter Todd è forse l’aspetto più problematico del documentario. La narrazione si concentra su dettagli apparentemente irrilevanti, tessendo una trama sensazionalistica che punta a far credere che Todd possa essere Satoshi Nakamoto. Questo tentativo rischia di mettere a repentaglio l’incolumità personale di Peter Todd, per cui non va sottovalutato. La costruzione narrativa, pur efficace nel catturare l’attenzione di un pubblico non esperto, è molto pericolosa.
Gli “indizi” forniti, poi, sono del tutto inconsistenti. Pensate che la prova regina sarebbe un post su BitcoinTalk del 2010 in risposta a Satoshi Nakamoto che Hoback ritiene sia stato pubblicato accidentalmente utilizzando il profilo di Todd. Cioè, sostiene l’autore, sarebbe stato Satoshi stesso a completare il suo post tramite una risposta, ma lo avrebbe fatto loggandosi per errore con il suo profilo personale: quello di Todd.
BitcoinTalk
Si tratta di un’ipotesi infondata, oltre che di un fatto già noto e non certo di una rivelazione. Va poi considerando il fatto che il nickname di Peter Todd dell’epoca era “retep” e nessuno sapeva chi fosse. Se si fosse trattato di Satoshi Nakamoto, avrebbe potuto facilmente cancellare il post senza lasciare tracce indesiderate.
Adam Back e Peter Todd nella scena finale di Money Electric
Il mito del milione di bitcoin di Satoshi
Nel documentario si ripete più volte che Satoshi Nakamoto avrebbe accumulato un milione di bitcoin e che una loro vendita massiva potrebbe “rompere il sistema”. Anche questa è un’affermazione fuorviante, dato che non c’è alcuna certezza riguardo al numero esatto di bitcoin in possesso di Nakamoto e l’idea che la vendita della supposta fortuna potrebbe distruggere Bitcoin è priva di qualsiasi fondamento. Infatti, non viene spiegata.
Gli aspetti positivi
Le radici di Bitcoin
Money Electric ha anche alcuni meriti, soprattutto nella prima parte dove si concentra su una spiegazione accurata delle origini di Bitcoin e del contesto storico in cui è nato. Il documentario racconta efficacemente come i tentativi precedenti di creare valute digitali, come E-Gold, siano falliti e come il fondatore di E-Gold Douglas Jackson sia stato arrestato per le sue attività. L’autore capisce e comunica efficacemente un concetto chiave: se costruisci un prodotto che potrà competere con il dollaro americano, il governo verrà a cercarti. Ha quindi perfettamente senso la scelta di restare anonimi. Viene da chiedersi: perché hai provato a rivelare l’identità di Satoshi?
La descrizione dei valori fondanti di Bitcoin, legati al movimento cypherpunk, è una delle parti più riuscite. Le crypto wars degli anni ‘90 e la lotta per l'uso della crittografia, dipinta come una sorta di armamento dal governo americano, sono spiegate in modo accessibile anche a chi non conosce approfonditamente il tema, offrendo un contesto storico prezioso per capire la nascita di Bitcoin.
Mining ed energia
Il mining viene descritto e raccontato come una lotteria, rompendo finalmente con la narrativa comune che tende a descriverlo come un’attività fondata su “complessi calcoli” o “algoritmi avanzati”. L’approccio semplificato è ben riuscito e rende comprensibile al grande pubblico uno degli aspetti più fraintesi di Bitcoin.
Un altro aspetto positivo è l'approfondimento sulla relazione tra Bitcoin e il consumo energetico. Invece di demonizzare il legame con l’energia, il documentario lo paragona intelligentemente al rapporto tra il dollaro e il petrolio, presentando questa connessione come inevitabile per qualsiasi forma di denaro che abbia valore intrinseco. Il denaro, viene specificato, deve essere evidentemente connesso a qualcosa che le persone ritengono di valore, come una fonte energetica.
L’autore del documentario Cullen Hoback mentre sperimenta con un ASIC
Sistema finanziario tradizionale e CBDC
Il racconto della crisi finanziaria del 2008 e il parallelo con l’attuale fragilità del sistema monetario globale sono ben trattati, mostrando come Bitcoin sia emerso in risposta a un sistema fallimentare. In questo senso, il documentario lancia un avvertimento sull'uso futuro delle Central Bank Digital Currencies (CBDC), che vengono descritte come strumenti di controllo distopico, con particolare enfasi sull’e-yuan cinese che viene definita letteralmente una “government-backed shitcoin”.
L’autore solleva dubbi sulla solidità del dollaro stesso, ipotizzando che anche la valuta americana possa essere soggetta a crolli simili a quelli delle monete iperinflazionate. Questa prospettiva, pur non categorica, introduce un importante interrogativo sul futuro del sistema finanziario globale, minando le convinzioni granitiche di una grossa fetta di mercato che considera il dollaro come fortezza indistruttibile.
Giudizio freddo
Money Electric è un documentario che forse per la prima volta è in grado di spiegare diversi aspetti di Bitcoin in modo efficace e facilmente comprensibile. Il fatto che un tale prodotto arrivi da una casa di produzione di enorme fama va considerato un successo.
D’altra parte il racconto fuorviante di avvenimenti come la Blocksize War e la ricerca incessante di un complotto per distruggere Bitcoin, entrambi viziati dal parere interessato di personaggi sconfitti dalla storia come Roger Ver e Gavin Andresen, compromette le ottime basi poste inizialmente con la descrizione della tecnologia.
Infine, non è accettabile un’accusa ad hominem così palese e contemporaneamente supportata da indizi così labili. Indicare una persona come Satoshi Nakamoto è, per gli stessi motivi riconosciti dall’autore a inizio documentario, estremamente pericoloso per la sua incolumità personale. Quanti, a causa del montaggio incalzante di HBO, potrebbero oggi credere che Peter Todd sia davvero Satoshi? E quanti tra questi potrebbero essere pronti ad attaccarlo fisicamente per la fortuna che avrebbe accumulato il creatore di Bitcoin? Troppi condizionali per arrivare a una conclusione plausibile e far correre un tale rischio a una persona.
Money Electric: The Bitcoin Mystery è un discreto prodotto, macchiato fatalmente dalla malafede.
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