Fermata #238 - Decentralizzare il mining

DEMAND Pool ha annunciato il lancio della prima mining pool basata su Stratum V2, facendo da apripista all'adozione di un protocollo più incentrato sull'indipendenza del singolo miner rispetto alla pool

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Lo scorso 18 marzo è stato annunciato il lancio imminente di Demand Pool (DMND), la prima mining pool basata sul nuovo protocollo Stratum V2​. Nel comunicato con cui Demand ha dato la notizia, le motivazioni dell’amministratore delegato Alejandro de la Torre sono chiare:

“Il settore del mining ha un problema chiave: la centralizzazione delle mining pool. Stratum V2 aiuterà a decentralizzare il mining di Bitcoin permettendo ai miner di costruire i propri blocchi. Questo è un momento storico per Bitcoin”​.

Quello che dice De la Torre è tutto vero, ma come funziona di preciso? Lo avevo spiegato intervistando Gabriele Vernetti, sviluppatore di Stratum V2, in un articolo su Bitcoin Magazine ormai due anni fa. Questa è un’ottima occasione per approfondire ulteriormente e capire in che direzione stia andando il mining.

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Che cos’è Stratum V2

Stratum V2 è la nuova generazione del protocollo di comunicazione tra miner e pool, destinata a sostituire l’ormai datato Stratum V1, utilizzato quasi universalmente nel mining odierno. Si contraddistingue dal suo predecessore per tre punti chiave.

  • Decentralizzazione della costruzione dei blocchi: Stratum V2 permette ad ogni miner di selezionare autonomamente le transazioni da includere nel blocco che sta tentando di minare. In pratica, il miner crea un blocco candidato (block template) e lo invia alla pool, invece di ricevere dalla pool un blocco preconfezionato​. In breve, il potere di decidere quali transazioni confermare torna ai singoli miner.

  • Sicurezza ed encryption end-to-end: il nuovo protocollo è progettato per essere interamente cifrato, impedendo intercettazioni e manomissioni dei dati trasmessi​. In Stratum V1, la comunicazione in chiaro apre la porta ad attacchi come l’hashrate hijacking: un attaccante può interporsi tra miner e pool, “rubare” le prove di lavoro (hash) trovate dal miner e spacciare queste soluzioni come proprie al pool, dirottando la ricompensa​. Stratum V2 elimina questa falla: grazie alla crittografia, un osservatore esterno non può più intercettare i dati utili (hash) né inserire comandi malevoli nel canale di comunicazione​.

  • Maggiore efficienza e performance: Stratum V2 utilizza un formato di messaggio binario compatto, in contrasto con il protocollo testuale (ASCII) di Stratum V1. Questa ottimizzazione riduce il tempo di elaborazione dei dati: non dovendo convertire continuamente testo in formato macchina, una maggiore quantità di informazioni può essere scambiata nello stesso intervallo di tempo​. In termini pratici, significa che un miner può inviare e ricevere dati più rapidamente, riducendo la latenza. Ciò si traduce in un minor rischio di trovare soluzioni ormai obsolete (stale shares) e in una probabilità leggermente più alta di “vincere la gara” per il prossimo blocco a parità di hashrate.

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I rischi attuali del mining

L’urgenza di Stratum V2 è percepita perché il panorama del mining mostra preoccupanti segnali di centralizzazione. Negli ultimi anni, la crescita di enormi pool commerciali ha fatto sì che gran parte della potenza di calcolo globale si sia concentrata in poche mani. Ad esempio, Foundry USA – una pool statunitense rivolta a miner istituzionali – ha raggiunto circa un terzo dell’hashrate mondiale, mentre Antpool, storica pool legata al produttore Bitmain, detiene attorno al 21%. Insieme, queste due sole pool coordinano oltre il 50% della potenza di mining totale​. In altre parole, più della metà dei nuovi blocchi Bitcoin viene attualmente costruita da due sole entità.

Per capire i rischi, occorre considerare come funzionano le mining pool tradizionali: nonostante l’hashrate provenga da migliaia di miner distribuiti nel mondo, è il server della pool a decidere quali transazioni includere nei blocchi che quei miner stanno cercando di risolvere​. I partecipanti forniscono potenza di calcolo, ma delegano alla pool la costruzione del blocco. Se il gestore della pool è malintenzionato, o subisce pressioni esterne, può deliberatamente scegliere di non includere certe transazioni nei blocchi estratti. In uno scenario normale, i singoli miner non hanno voce in capitolo su quali transazioni vengono confermate dal loro lavoro.

Le principali minacce derivanti da questa centralizzazione delle pool sono la censura delle transazioni e (in casi estremi) gli attacchi di doppia spesa tramite il 51%. Vediamo come potrebbero manifestarsi:

  1. Censura delle transazioni: una pool dominante potrebbe decidere (o essere costretta, ad esempio da autorità regolatorie) di escludere sistematicamente dai blocchi tutte le transazioni provenienti da determinati indirizzi o che violano certe politiche.

  2. Attacco del 51% e doppia spesa: il timore più grave legato alla centralizzazione del mining è la possibilità di un attacco del 51%, in cui un’entità (o collusione di più entità) controlla oltre la metà dell’hashrate e può dunque riscrivere le proprie transazioni sulla blockchain a suo vantaggio. Lo scenario, per diversi motivi, è estremamente improbabile, ma vale la pena fare un esercizio di pensiero. La pool potrebbe intenzionalmente creare un fork e imporre la propria versione come valida, scartando i blocchi altrui. L’uso più ovvio di un simile potere è la doppia spesa: l’attaccante spende Bitcoin in una transazione, la lascia confermare in un blocco pubblico, ma parallelamente mina in segreto una catena alternativa in cui quella transazione non esiste (magari spendendo gli stessi coin altrove)​. Se l’attaccante riesce a produrre più velocemente blocchi della catena onesta (grazie al suo >50% di hashrate), può alla fine presentare la sua catena alternativa più lunga, facendo sì che la rete la accetti e invalidi la transazione originale.

  3. Denial of Service, ovvero blocchi vuoti: un’altra forma di attacco, meno devastante di una doppia spesa ma comunque dannosa, è il mining intenzionale di blocchi vuoti. Una pool abbastanza grande potrebbe decidere di non includere nessuna transazione nei blocchi che mina (ad eccezione della transazione coinbase che contiene la ricompensa per il miner stesso). Così facendo, la pool continua a guadagnare i soli reward di base, ma impedisce di fatto la conferma di nuove transazioni in una percentuale dei blocchi totali, rallentando la conferma delle transazioni della rete​.

Vale la pena notare che, ad oggi, le grandi pool non hanno mai tentato attivamente attacchi distruttivi come la doppia spesa o il mining sistematico di blocchi vuoti. I motivi sono principalmente economici: una pool come Foundry è un’azienda che ricava profitto dal buon funzionamento della rete Bitcoin, non avrebbe convenienza a sabotare la blockchain su cui si basa il suo business​.

Stratum V2 come soluzione: miner più autonomi, rete più resistente

Stratum V2 affronta in modo diretto le criticità di centralizzazione e vulnerabilità descritte, grazie a cambiamenti architetturali nel rapporto tra miner e pool. La principale innovazione, già accennata, è il meccanismo di costruzione del blocco lato miner (noto anche come job negotiation): ogni miner può proporre il blocco da minare, invece di accettare passivamente il blocco proposto dalla pool​. Questo singolo cambiamento ha due conseguenze:

  • Impedire la censura centralizzata: togliendo alla pool la capacità esclusiva di determinare il contenuto dei blocchi, Stratum V2 rende impraticabile per un singolo operatore censurare transazioni su larga scala​. Se un miner (o un gruppo di miner) all’interno della pool desidera includere una certa transazione, potrà farlo costruendo il proprio template. Eventuali pressioni esterne per censurare transazioni si troverebbero di fronte a una rete di migliaia di miner indipendenti, anziché a pochi amministratori di pool: un modello molto più resistente.

  • Blocchi più difficili da manipolare o riscrivere: l’impossibilità per la pool di forzare un determinato template significa anche che risulta molto più complesso coordinare segretamente una catena alternativa per un 51% attack. Oggi, un pool server con maggioranza di hashrate potrebbe teoricamente istruire tutti i suoi miner a seguire una chain privata (per tentare una doppia spesa), sapendo di poter gestire centralmente il contenuto di quei blocchi privati. Stratum V2 trasforma un attacco coordinato a livello di pool in un problema di coordinazione tra centinaia di attori indipendenti, il che alza enormemente l’asticella della complessità e la probabilità di defezioni.

Spesso nelle reti decentralizzate i cambiamenti vengono innescati da nuovi entranti: soggetti disposti a rompere lo status quo proponendo alternative migliori. DEMAND Pool si candida a collocarsi in questa prospettiva, tentando di essere il catalizzatore che dimostri la fattibilità e i benefici di Stratum V2. Se DMND avrà successo nell’aggregare una quota significativa di hashrate, dimostrerà che i miner tengono a decentralizzazione e trasparenza abbastanza da scegliere attivamente una pool che le offra. A quel punto, per le pool concorrenti si porrà un bivio: adeguarsi implementando a loro volta Stratum V2 (e magari migliorando le proprie politiche di payout), oppure rischiare di perdere quote di mercato.

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