Fermata #32 - Il fallimento di Ethereum

Dalla vulnerabilità della sua blockchain alla centralizzazione dei servizi e della governance: Ethereum è il veicolo che consegna le criptovalute al mondo della finanza tradizionale

Questa fermata inizia con un mea culpa.

Quando nel 2017 mi sono avvicinato per la prima volta a Bitcoin, scoprendo poi il mondo delle criptovalute, ho creduto per un certo periodo che anche Ethereum, insieme all’invenzione di Satoshi Nakamoto, avrebbe potuto democratizzare l’economia ed efficientare molti ambiti oggi rallentati dalla burocrazia.

Studiando mi sono ricreduto: Ethereum è una shitcoin1 come tante altre. Anzi è la shitcoin, una struttura altamente centralizzata che permetterà a quelle istituzioni tradizionali che Bitcoin è nato per combattere - Wef2, Wall Street, Fmi3 - di manipolare agevolmente l’evoluzione del cosiddetto “settore crypto”.

Il merge

Recentemente il co-fondatore di Ethereum Vitalik Buterin ha dichiarato che il “merge” - ossia il previsto passaggio dell’algoritmo di consenso da Proof-of-Work a Proof-of-Stake - potrebbe avvenire il prossimo agosto (dopo rinvii pluriennali). L’idea della conversione alla PoS nasce dalla necessità di rendere più scalabile una blockchain inutilmente pesante e inefficiente ma porterà con ogni probabilità a un risultato ben diverso: faciliterà il controllo economico della rete da parte delle grandi istituzioni finanziarie di cui sopra (tema approfondito in seguito).

Una blockchain complessa e centralizzata

Priorità differenti

Quando si parla di reti distribuite bisogna sempre fare i conti con il cosiddetto Trilemma (approfondito nella fermata #17): tra sicurezza, decentralizzazione e scalabilità la blockchain di Bitcoin dà priorità alle prime due, perdendo dunque in efficienza e rapidità4. Questo perché il suo compito è uno: garantire l’inviolabilità e l’immutabilità delle transazioni. Per questo il Layer 1 di Bitcoin non supporta smart-contract complessi o altri tipi di operazioni che stanno invece venendo implementati man mano sui layer successivi, partendo da Lightning Network.

Il concetto alla base di Ethereum è molto diverso: la sua blockchain è estremamente più complessa di quella di Bitcoin e supporta smart-contract molto più elaborati che permettono così lo sviluppo di settori come l’ormai nota De-Fi5. Il punto è che tutto ha un costo e la versatilità del Layer 1 di Ethereum danneggia inevitabilmente la sua sicurezza e la sua decentralizzazione.

Pochi nodi e ben centralizzati

Attivare un nodo completo di Ethereum (full archival node) è molto più costoso e meno accessibile rispetto all’attivazione di un nodo Bitcoin proprio per il fatto che gestisce una quantità di dati superiore di diversi ordini di grandezza.

Se per utilizzare un full-node6 Bitcoin bastano ad oggi circa 400 GB di memoria su hard disk, 2 GB di RAM e una buona connessione Internet, installare un nodo Ethereum richiede 6 TB di memoria SSD, 16 GB di RAM e una connessione di 2,5 MB/s in download.

Di fatto Ethereum è una tecnologia meno accessibile rispetto a Bitcoin: lo dimostra il numero dei nodi dei rispettivi protocolli: si stima che in tutto il mondo siano attivi circa 50.000 nodi Bitcoin e 5.800 nodi Ethereum.

Non solo: buona parte degli utenti non è in grado di installare un nodo Ethereum in casa per cui si affida a servizi centralizzati come Infura che permettono l’utilizzo del protocollo affidandosi a loro volta all’hosting via cloud. Oggi il 66% dei nodi Ethereum è ospitato da cloud privati e il 43% di questi è gestito da Amazon Web Services.

In breve, circa il 25% di tutto il carico di lavoro del protocollo a livello globale è eseguito da Amazon.

La decentralizzazione secondo ConsenSys e JPMorgan

Come ormai saprete, il creatore di Bitcoin è sconosciuto. Non si sa chi fosse Satoshi Nakamoto: se un uomo, una donna, un gruppo di persone e se sia vivo o morto.

Ethereum ha due co-fondatori vivi e vegeti: molto noti e ancor più influenti. Si tratta di Vitalik Buterin e Joseph Lubin. Il primo è sempre molto attivo nelle discussioni relative allo sviluppo della sua creatura e ha una forte voce in capitolo all’interno dell’Ethereum Foundation, dalla cui approvazione finale passano praticamente tutti gli aggiornamenti alla rete. Curioso, peraltro, come il direttore esecutivo della fondazione sia Aya Miyaguchi, coinvolta anche nel World Economic Forum.

Ma vale soprattutto la pena concentrarsi sull’altro co-fondatore: Joseph Lubin è fondatore, Ceo e azionista di maggioranza di ConsenSys, azienda che nel 2019 ha acquisito Infura ed è proprietaria di Metamask, il wallet Ethereum per distacco più utilizzato al mondo con oltre 30 milioni di utenti attivi ogni mese (il main competitor MyEtherWallet arriva a circa 1,3 milioni).

Di fatto, il co-fondatore di Ethereum ha il pieno controllo delle principali infrastrutture che interagiscono con la rete.

Il bello però viene ora: recentemente un gruppo di 35 azionisti di ConsenSys ha chiesto una revisione speciale di un accordo stipulato nel 2020 che ha visto il colosso finanziario JPMorgan Chase acquisire una partecipazione "influente" in due dei prodotti di punta di ConsenSys. Indovinate un po’ quali? Proprio così: Infura e Metamask!

Il sogno della democratizzazione dell’economia e dell’eliminazione dell’intermediario, con lo zampino di JPMorgan.

Immutabilità, anzi no

“Ok - si potrebbe pensare - Ethereum ha pochi nodi e la sua governance è centralizzata, ma almeno negli anni si è dimostrata una tecnologia davvero solida e immutabile”. Non proprio.

The DAO hack

Il 17 giugno 2016 un hacker ha trovato una vulnerabilità nel codice della prima storica DAO7 sottraendo all’organizzazione 3,6 milioni di Ether8. Un importo molto significativo, ma si tratta di cose che capitano nel mondo delle criptovalute: sempre nel 2016 l’exchange Bitfinex ha subito un furto di 119.754 bitcoin.

Il punto fondamentale è che la community di Ethereum decise che era più importante recuperare quei fondi che mantenere l’inviolabilità della blockchain, optando per un hard-fork. Il nome Ethereum venne assegnato alla blockchain forkata con i fondi recuperati mentre quella originale assunse il nome di Ethereum Classic.

In poche parole, l’Ethereum che conosciamo oggi è frutto di una manipolazione della blockchain originale. Qual è il punto di utilizzare una blockchain se può essere modificata in modo arbitrario?

Il passaggio alla Proof-of-Stake

Come anticipato a inizio articolo, non ci si può consolare nemmeno con il fatto che Ethereum sia una delle pochissime criptovalute ad affidarsi alla Proof-of-Work come algoritmo di consenso: a breve cambierà anche quello.

La PoS ha tanti problemi (qui un approfondimento di qualità) ma il più evidente è quello legato al controllo dei più ricchi perché - a differenza della PoW, in cui i più abbienti non hanno potere sulle regole del protocollo - maggiore è la quota detenuta dell’asset e maggiore è il potere decisionale su quest’ultimo.

Questo non aiuta quando i fondi sono destinati a finire nelle mani di pochi: se nella Proof-of-Work viene premiato il miner che dimostra di aver compiuto una certa quantità di lavoro spendendo risorse, nella Proof-of-Stake viene invece premiato chi dimostra di detenere una data quantità di capitale investito nell’asset. Le chances di scrivere il blocco, e guadagnare quindi la ricompensa, aumentano proporzionalmente al crescere della somma in stake, cioè investita e bloccata. Di fatto più denaro si deposita, maggiore è la possibilità di riceverne: un ciclo senza fine destinato a rendere i ricchi ancora più ricchi e a consegnare le chiavi del protocollo a una stretta cerchia di eletti. Finanza tradizionale 2.0.

Il fatto che la manipolazione finanziaria del protocollo sarà molto più semplice con la Proof-of-Stake può far facilmente intuire il perché i grandi del mondo cavalchino la narrativa secondo cui la PoW sarebbe dannosa per il pianeta (smentita nelle fermate #1, #16 e #24) proponendo come alternativa proprio la PoS: lo hanno fatto ripetutamente il Fondo Monetario Internazionale, il World Economic Forum e altre grandi istituzioni della finanza tradizionale il cui potere verrebbe meno se Bitcoin si diffondesse su larghissima scala.

Le mani di regolatori e fondi d’investimento sono già abbondantemente affondate nel “mondo crypto” regolato dalla Proof-of-Stake e lo saranno ancor di più in Ethereum quando questa si sbarazzerà della Proof-of-Work, forse l’unico baluardo di credibilità e sicurezza rimasto al protocollo.

Il mondo finanziario tradizionale è e sarà sempre di più un tutt’uno con la creatura di Vitalik Buterin e questo può significare solamente una cosa: Ethereum è ciò che Bitcoin vuole combattere.

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