Fermata #225 - Chi vuole intendere, Intesa

La prima banca italiana compra bitcoin, viene colta con le mani nel sacco e corre dai giornalisti per spegnere le fiamme mediatiche: la teoria dei giochi fa il suo corso.

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Un acquisto simbolico e di dimensioni irrisorie ma che, se combinato con i fatti e le dichiarazioni del protagonista, rivela l’ipocrisia del più grande gruppo bancario italiano per capitalizzazione, nonché quarto europeo.

Tutti i principali giornali hanno riportato come Intesa Sanpaolo, lo scorso 13 gennaio, abbia effettuato il primo acquisto di bitcoin: 11, per la precisione, per l’equivalente di € 1.000.000.

La notizia è trapelata inizialmente da 4chan, sul quale è stata caricata la foto a uno schermo che rivelava l’e-mail interna di Niccolò Bardoscia, responsabile del reparto Digital Assets Trading & Investments dell’azienda. L’e-mail recitava:

“A oggi 13/01/2025, Intesa Sanpaolo possiede 11 bitcoin. Grazie a tutti per il lavoro di squadra, questo risultato non sarebbe stato possibile senza ciascuno di voi”.

Foto della mail postata su 4chan e successivamente confermata da fonti interne di Intesa Sanpaolo

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La notizia è rimbalzata ovunque, con diversi giornali che hanno definito l’operazione “storica”. La cosa, però, non dovrebbe affatto sorprendere.

Intesa aveva già un desk dedicato

Già l’anno scorso Intesa Sanpaolo aveva annunciato che il suo desk dedicato alle criptovalute avrebbe permesso il trading spot di Bitcoin ed Ether.

L'obiettivo di Intesa era quello di fornire un accesso diretto e regolamentato al mercato dei digital asset, distinguendosi in un settore dove i tradizionali istituti bancari italiani spesso esitano ad avventurarsi.

Ma allora perché questa sorpresa? Forse per le dichiarazioni pubbliche dell’amministratore delegato della banca, Carlo Messina. Già diversi anni fa, intervistato a schiena dritta dal TG5, Messina non aveva lasciato spazio a interpretazioni:

Non c’è dubbio che Bitcoin sia una bolla speculativa. […] Oggi è un grande fattore di rischio e potrebbe prestarsi a delle forme di riciclaggio. Io non ci investirei mai.

Carlo Messina, ad Intesa Sanpaolo

Il ruolo esterno della Bce?

Il perché di tali dichiarazioni non è semplice da individuare. Difficile pensare che si tratti di ignoranza: all’amministratore delegato del più grande gruppo bancario italiano non è consentito ignorare un asset in così forte ascesa.

Forse mancanza di coraggio: da sempre i player di mercato incumbent hanno un rapporto molto difficile con l’innovazione che, spesso, è portata dai competitor più piccoli e con le mani meno legate da azionisti, reputazione e legami con la politica. Questo vale per il settore finanziario come per tutti gli altri.

L’ipotesi più plausibile, a parere di chi vi scrive, è quella della cautela nei confronti della Banca Centrale Europea. Francoforte ha gli occhi puntati sull’Italia da diversi mesi per via di quello che i giornali amano chiamare il “risiko bancario”, ovvero il gioco di acquisizioni e formazione di gruppi sempre più importanti nel comparto del credito. La figura del protagonista, in questo risiko, è stata interpretata da Unicredit, il secondo gruppo bancario italiano e principale competitor di Intesa. Unicredit ha acquisito quote di Banco BPM ed è tutt’oggi intenta a scalare la tedesca Commerzbank.

Sebbene Intesa sia fuori dal risiko - l’ultima grande operazione è stata l’acquisizione di Ubi Banca nel 2020 - il suo ad si è però esposto pubblicamente. In un’intervista al Financial Times dello scorso dicembre, Messina ha criticato l’interferenza dei governi italiano e tedesco nelle operazioni di Unicredit.

E sia ben chiaro che, come anticipato, tutti questi avvenimenti sono monitorati da vicinissimo dal capo dei capi: Francoforte, vale a dire la Bce. Quest’ultima, sempre a dicembre, ha pubblicato un nuovo report sullo stato d’avanzamento dell’euro digitale, rivelando la roadmap che porterà alla decisione definitiva sul lancio della nuova fase di sperimentazione a ottobre 2025.

“A pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca”, diceva Andreotti. E allora è difficile non far cadere l’occhio su quel Q2 2025, in cui la Bce indica che tra qualche mese selezionerà i “digital payment provider” con cui portare avanti la ricerca. Chi selezionare come partner strategici se non i principali colossi del credito europeo, tra cui, magari, il quarto gruppo continentale per capitalizzazione?

Pensate quindi a uno scenario: vi trovate in piena corsa per diventare partner strategici della Bce e, di punto in bianco, trapela una notizia da fonte anonima che svela come voi abbiate comprato bitcoin: il nemico numero uno delle banche centrali. Cosa fareste? Riunione d’emergenza del reparto comunicazione e briefing dell’amministratore delegato sui temi da riportare ai giornali.

Sarà un caso, ma non appena la notizia dell’acquisto di 11 bitcoin da parte di Intesa è stata confermata, Messina è andato immediatamente all’attacco. A margine di un convegno con Confindustria, l’ad ha detto:

“Non dovrebbe stupire se facciamo quello che fanno tutte le altre banche nel mondo. […] Sono importi limitatissimi, perché abbiamo € 100 miliardi di portafoglio titoli, quindi un milione di euro è un esperimento, è un test e credo dimostri di come ci può essere un'attenzione verso i canali digitali molto molto limitata in termini di investimento, ma soprattutto dell'essere pronti nel caso in cui alcuni clienti particolarmente sofisticati chiedessero di effettuare queste forme di investimento. […] Io stesso non investo in bitcoin”.

Carlo Messina, ad Intesa Sanpaolo

Il ragazzino che è stato colto in flagrante e cerca di accampare scuse credibili di fronte ai genitori arrabbiati. Suonano così le parole di un Messina che pare volersi giustificare dopo che un utente anonimo ha rivelato l’investimento della sua banca in bitcoin.

Bitcoin is for enemies

Come spesso accade, in questo ambiente c’è un detto o un meme per moltissimi scenari. Per questo il più calzante è “Bitcoin is for enemies” (Bitcoin è per i nemici).

Bitcoin ha tutte le carte in regola per diventare la miglior forma di denaro che l’umanità abbia mai avuto e, in quanto tale, deve essere utilizzato da tutti. Chi usa bitcoin non deve necessariamente starci simpatico né deve corrispondere le nostre idee politiche o i nostri valori, perché se così fosse non sarebbe una moneta. Non vogliamo bene a tutti coloro che detengono oro, dollari o euro.

La moneta è una tecnologia neutrale, non diversamente dal computer. Si diffonde per effetto network e perché offre incentivi diversi a persone con esigenze diverse.

Offre uno strumento di risparmio a chi, in Occidente, cerca una protezione dalla crescente inflazione. Offre uno strumento di pagamento a chi, in parte del mondo in via di sviluppo, è tagliato fuori dal sistema finanziario tradizionale. Offre uno strumento di protezione della privacy finanziaria a chi combatte contro regimi illiberali e orwelliani. Offre anche un’opportunità di business a chi volesse offrire, per esempio, servizi di custodia, come le banche.

In buona sostanza, non dobbiamo farci piacere a tutti i costi le dichiarazioni di Messina perché Bitcoin non ha bisogno di Banca Intesa. I recenti fatti dimostrano, al contrario, che Banca Intesa avrà bisogno di Bitcoin.

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